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BOLOGNA, 2 AGOSTO 1980. Dall’archivio de «il manifesto», la riflessione di Giuseppe Di Lello a vent'anni dalla strage: sul piano politico-istituzionale ancora non c'è nessuna soluzione

La sentenza non basta

 

Editoriale di prima pagina da «il manifesto» del 2 agosto 2000

Venti anni dalla strage alla stazione di Bologna: una nuova occasione per riflettere sull’essenza di questo stato, sulla immodificabilità delle sue prassi a fronte dello stragismo politico e nonostante le tanto auspicate alternanze, le promesse di trasparenza mai mantenute. Fu una strage fascista, come recita la lapide che ricorda le vittime, e per il disprezzo per la vita dimostrato dagli attentatori e le finalità stabilizzanti perseguite dagli stessi, l’aggettivo non teme smentite. Ma fu anche una strage di stato, nel senso che in questi anni abbiamo dato a questa locuzione riferita a tante altre stragi e a tanti altri misfatti.
Come unica consolazione istituzionale ci si dice che quella di Bologna è una delle poche stragi con gli esecutori individuati e condannati, Giusva Fioravanti e Francesca Mambro.

Non vogliamo rifare il processo al processo, ma ribadire che questa soluzione, giudiziariamente poco consolatoria, non lo è affatto sul piano politico-istituzionale. È poco consolatoria sul piano giudiziario perché si è trattato di un processo altamente indiziario e non troppo convincente nelle motivazioni.

La verità giudiziaria deve essere convincente e condivisibile, come prescrive la Costituzione: si impongono infatti, un pubblico dibattimento per un controllo democratico del contraddittorio nonché la motivazione della sentenza per un controllo della valutazione delle prove e delle argomentazioni che determinano il verdetto. A ciò consegue il diritto di dissentire, anche nel caso specifico, da quelle argomentazioni e valutazioni, per evitare che la verità giudiziaria assuma la terribile valenza di una verità immutabile e indiscutibile.

Sul piano politico-istituzionale la conclusione della vicenda è inaccettabile, come tutte le altre simili, passate e seguenti, perché è assurdo credere che gli spezzoni di stato coinvolti agissero per fini propri: su questo punto attendiamo, pretendiamo una risposta che non può accomodarsi nell’ergastolo comminato a Mambro e Fioravanti. Fu una strage stabilizzante per difendere interessi più o meno occulti e perciò, come per Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Capaci o via D’Amelio la verità vera sarà difficilmente accertata.

Ora che la stabilizzazione di quegli interessi sembra essere sul punto di realizzarsi (il suggello delle prossime elezioni è maledettamente vicino) la verità sulle stragi diventerà sempre più un miraggio. Potrebbe la sinistra di governo tentare di risalire la china dicendo qualcosa di sinistra su queste stragi, confessando anche la propria impotenza nel fare chiarezza per il persistente dominio di quegli interessi e apparati istituzionali che tuttora li difendono?

Sarebbe un passo avanti, piccolo, ma importante: certo più importante di tante retoriche solidarietà espresse a chi vuole giustizia per i propri morti