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RIFORME. Fu provocazione dell’aggredito e non aggressione squadrista. Così Meloni rilegge in chiave tipicamente fascista i gravissimi fatti della Camera. Bene la risposta democratica delle opposizioni in piazza oggi. Quanto accade […]

 Napoli, no all’autonomia differenziata a Piazza Plebiscito - foto da X

Fu provocazione dell’aggredito e non aggressione squadrista. Così Meloni rilegge in chiave tipicamente fascista i gravissimi fatti della Camera. Bene la risposta democratica delle opposizioni in piazza oggi. Quanto accade si spiega anche con i nervi scoperti nella maggioranza dopo lo scossone dato dalle urne europee, in specie per i dati del Sud e dei voti assoluti piuttosto che delle percentuali. Se ne traggono due corollari.

Il primo. No all’inseguimento delle riforme della destra, magari condividendone gli obiettivi e volendo solo temperarne errori o eccessi. È un atteggiamento subalterno e perdente di fronte a Giorgia Meloni, già lanciata in una compagna referendaria e/o elettorale. Riforme condivise sono una illusione. Gli obiettivi della destra sono saldati dallo scambio tra i partner della maggioranza.

Il secondo. Partendo dalle riforme vanno invece costruiti nuovi equilibri politici ed elettorali. Il primo terreno per iniziare la costruzione è inevitabilmente l’autonomia differenziata, che con l’approvazione definitiva del disegno di legge Calderoli passa alla fase di attuazione. La stessa costruzione potrà dare un decisivo contributo anche contro le riforme che seguiranno con tempi più lunghi (premierato, giustizia). I percorsi inevitabilmente si intrecciano, perché il reciproco ricatto tra gli inquilini di palazzo Chigi rimane sempre possibile.

Di quali strumenti disponiamo da subito per l’autonomia differenziata? Il primo è il ricorso in via principale di una o più regioni alla Consulta entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge (articolo 127.2). Consente di rispondere all’avvio della fase attuativa dell’autonomia differenziata con un immediato contrasto. La Corte può anche sospendere in tutto o in parte l’atto impugnato.

Va segnalato, sul punto, che l’autonomia differenziata, passando da un regionalismo solidale a un semi-federalismo competitivo, apre a una conflittualità non tra regione e stato, ma tra regioni. Si può ad esempio ipotizzare che una regione voglia privilegiare i “propri” cittadini, o sottrarre ad altre regioni personale qualificato utile nell’economia del territorio, o magari investimenti praticando un dumping sulle regole ambientali.

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Beninteso, può accadere già ora. Da ultimo (sentenza numero 67/ 2024) la Corte costituzionale ha censurato una legge del Veneto che per l’accesso alla edilizia residenziale pubblica richiedeva alcuni anni di residenza in regione. Cosa cambia con l’autonomia differenziata? Che la situazione può manifestarsi su scala molto più ampia, mentre si indeboliscono gli strumenti correttivi.

Il punto è bene colto dal presidente della Calabria Occhiuto (Forza Italia) nell’intervista al Corriere della sera del 14 giugno, in cui attacca l’autonomia differenziata nel commercio con l’estero – materia subito devolvibile – come potenziale rischio per la competitività delle regioni del Sud. E basta pensare alle professioni – anch’esse devolvibili – per il possibile accaparramento del personale sanitario.

È uno scenario di competizione interregionale lesiva della «Repubblica una e indivisibile» (articolo 5) in quanto il vantaggio ad alcune regioni viene dal danno ad altre. Uno scenario che la (futura) legge Calderoli non impedisce. Ad esempio, perché le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» (articolo 116.3) non si legano a una specificità di territorio dimostrata o dimostrabile. O perché con la devoluzione si riduce l’ambito dei principi fondamentali posti con legge dello stato (articolo 117.3). O perché si richiama l’astratta determinazione, e non la concreta erogazione, dei livelli essenziali delle prestazioni (articolo 117.2). O perché la valutazione collegiale in sede parlamentare e di conferenza può essere pretermessa o disattesa. O perché il regime transitorio privilegia alcune regioni. O perché manca una previa valutazione di impatto, come Occhiuto vorrebbe. Su questo, e altro ancora, si può fondare un ricorso in via principale.

Un secondo strumento è dato dal referendum abrogativo ex articolo 75, forse inammissibile e comunque più lento nei tempi, sul quale torneremo. Intanto diciamo con gli antichi che nomina sunt consequentia rerum. Meloni non può rinominare come provocazione l’aggressione squadrista, o come salute sessuale il diritto all’aborto. Ma sono problemi di Meloni, e non ci toccano. Le riforme della destra avranno un aborto spontaneo a opera del popolo sovrano, per la salus rei publicae