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EUROPEE. Intervista a Massimiliano Smeriglio, candidato con Alleanza Verdi Sinistra

 Massimiliano Smeriglio - Lapresse

Quando sentiamo Massimiliano Smeriglio, candidato alle europee con Alleanza Verdi Sinistra nella circoscrizione centro e nel nordovest, si trova in giro per il Lazio. Più precisamente a Spigno Saturnia, comune di poco più di duemila anime in provincia di Latina. «Circola disincanto – racconta – L’astensione sarà determinante. E non aiuta un dibattito tutto piegato sulla politica nazionale».

C’è disincanto anche a sinistra?
Dal nostro punto di vista sta andando bene. Dopo tanti anni noto interesse, vivacità, convergenza di storie, reti, movimenti e liste che si candidano con la declinazione «in comune».

Realisticamente, se Avs dovesse eleggere parlamentari europei, per la maggioranza sarebbero indipendenti e civici.
È un segnale positivo. Va riconosciuto a Si Verdi di aver mantenuto alle scorse elezioni politiche un punto di vista nazionale prezioso per parlare con altri. Poi, nel corso di quest’ultimo anno, c’è stato uno scatto dovuto a una ragione oggettiva: il governo di destra impone discussioni lunari su proibizionismo, razzismo, il gender. A sinistra ci si mobilita. La destra non potendo risolvere questioni materiali si inventa nemici immaginari: i migranti, gli ambientalisti o i raver. C’è anche la delegittimazione dell’antifascismo, che corrisponde al disegno politico di colpire l’architettura costituzionale. E poi la guerra. Bisogna contrastare il riarmo, per un’Europa capace di sganciarsi dall’influenza atlantica. Anche su Gaza: se Meloni dice «due popoli due Stati» faccia come Sanchez e riconosca la Palestina. Da questa posizione si potrebbero contrastare gli estremismi religiosi di Hamas e di Netanyahu.

Avete lavorato sulle esperienze municipaliste.
C’è voglia di rimettersi in cammino, non limitandosi a presidiare in maniera virtuosa la dimensione municipale e provando a costruire un punto di vista nazionale ed europeo. Qualche giorno fa abbiamo avuto al Leoncavallo, luogo di per sé simbolico, un incontro nazionale con diverse reti civiche.

Su questo ha scommesso quando ha lasciato il gruppo dei Socialisti e democratici?
Ho fatto un investimento sui nessi amministrativi, sui conflitti e le vertenze con uno sguardo sui temi internazionali. Questo voto serve a costruire un soggetto politico democratico, trasparente e aperto. Non è solo una corsa alle preferenze. Ci siamo presi la responsabilità della candidatura di Ilaria Salis. Lei è stata coraggiosa, ha scelto la comunità che le somiglia di più. Non possiamo sbagliare: dobbiamo arrivare al 4%. La battaglia per liberarla e portarla in Europa non è finita.

Giorgia Meloni punta tutto sullo spostamento a destra del baricentro della maggioranza a Bruxelles e Strasburgo.
È difficile per la modalità di funzionamento del parlamento europeo, che spinge a cercare il negoziato continuo. D’altro canto, questo spostamento c’è già stato con la scomparsa di David Sassoli e del Next generation Eu, con l’arrivo di Metsola e con l’ingresso dei conservatori di Ecr nel board della presidenza. Ancora, c’è la guerra: un business e un clima in cui la destra sguazza. Meloni ci prova: ha l’ambizione di sdoganare forze impresentabili per costruire un contrappunto al Ppe e trascinarlo a destra. Non hanno espresso lo spitzenkandidat per lasciarsi le mani libere.

Se Meloni fallisce la sua campagna europea che succede?
Non ci sono margini in economia. Nonostante la spinta del Pnrr il paese si trova sostanzialmente in recessione. Dal primo gennaio entra in vigore il patto di stabilità imposto dai paesi frugali. E loro hanno obbedito. Si torna alle regole del pre-pandemia, al laccio al collo della spesa pubblica e dei servizi pubblici locali in un momento in cui la sanità è al pre-collasso. La destra cerca di contenere questa spinta negativa agitando feticci.

E quindi?
Se i numeri dell’attuale coalizione di destra-centro e quelli delle opposizioni da lunedì prossimo saranno comparabili significa che esiste uno spazio politico che bisogna riempire per una piattaforma di alternativa.

In tempi non sospetti lei non si è sottratto alla possibilità di cambiare la Costituzione di fronte al mutamento di alcune condizioni materiali.
Ce lo hanno spiegato i padri costituenti: la Carta può evolvere. Ma non siamo di fronte a un passaggio del genere. Le riforme della destra non hanno nulla di organico, sono mance ai rispettivi elettorati. Tra un premierato che mette fuorigioco il presidente della Repubblica e l’autonomia differenziata che produrrà venti programmi scolastici, venti sistemi sanitari, venti approcci folcloristici alle situazioni locali, torniamo a una dimensione medievale