In uno spazio pubblico in cui la rimozione del passato ha assunto una funzione centrale nella costruzione di un presente senza storia, i lavori che muovono in «direzione ostinata e contraria» divengono preziosi. È il caso di due volumi che, mentre procede l’iter giudiziario dei processi per la strage di Bologna del 1980 e di Piazza Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 (di cui ricorre oggi il cinquantesimo anniversario), si incaricano di costringerci a ragionare sulle vicende umanamente più tragiche e democraticamente più drammatiche della storia repubblicana. È il caso dei libri di Benedetta Tobagi, Le stragi sono tutte un mistero (Laterza, pp. 288, euro 18), e di Pietro Garbarino, Saverio Ferrari, Piazza della Loggia cinquant’anni dopo (Red Star Press, pp. 152, euro 15).
ENTRAMBI I TESTI si presentano apparentemente come strumenti divulgativi ma in realtà mostrano da subito la capacità di approfondire (in modo convincente) e spiegare (in modo chiaro) temi assai complessi come quello relativo alla natura dello stragismo in Italia ovvero di un fenomeno storico duraturo, collocato dentro il cuore della Guerra Fredda e capace di incidere sulla qualità del sistema democratico e costituzionale della Repubblica. Ciò grazie al concorso di neofascisti come esecutori materiali; di apparati di forza dello Stato (nei suoi vertici tanto dell’Ufficio affari riservati del Ministero dell’interno quanto del Servizio informazioni difesa) come operatori della logistica delle stragi, dei depistaggi e delle esfiltrazioni; di significative parti delle classi dirigenti e proprietarie come finanziatori; di alti ufficiali della Nato non solo come interlocutori e protettori dei responsabili ma come osservatori decidenti seppur in un quadro non univoco, anzi «polimorfico», come ricorda Tobagi.
La storica, che maneggia con sapienza il tema, passa in rassegna larga parte del dibattito pubblico sugli anni del tritolo sfatando il falso mito secondo cui gli eventi stragisti sarebbero inintelligibili; chiarendo che non esistono servizi segreti «deviati» ma solo servizi segreti; smontando teorie dietrologiche protese alla costruzione di immaginarie piste alternative come quella palestinese o internazionale per la strage di Bologna del 1980.
Contestualmente si potrebbe aggiungere anche che la retorica celebrativa delle istituzioni «lo Stato ha vinto» e quella postfascista «la destra vittima di persecuzioni giudiziarie» hanno concorso ad erodere, nell’immaginario collettivo, l’evidenza dei fatti.
È POSSIBILE AFFERMARE la vittoria dello Stato con tanta solennità quando, in media dopo mezzo secolo dai fatti, i processi non sono ancora conclusi; il grado di impunità dei responsabili resta altissimo; la memoria pubblica è praticamente evaporata nelle nuove generazioni per le mancanze di quelle precedenti? Così se da un lato Tobagi cita il sondaggio del 2006 condotto nelle scuole superiori di Milano (secondo cui il 41% degli studenti riteneva le Brigate Rosse e non i neofascisti di Ordine Nuovo responsabili della strage di Piazza Fontana) dall’altro non ci si può esimere dal sottolineare come il lavorio di tutti quei «narratori» pubblici, che l’autrice definisce generosamente «filo-governativi rassicuranti», abbia iniziato a fare breccia facendo leva non su argomenti e contenuti di merito quanto piuttosto su banalizzazioni, uso del senso comune, stanchezza e disattenzione dell’opinione pubblica.
IN QUESTO SENSO Garbarino e Ferrari riallineano fatti e documenti offrendo un focus importante sulla strage di Brescia del 1974 e soprattutto su quella organizzazione «denominata Ordine Nero nella quale erano confluiti i reduci del gruppo Movimento politico Ordine Nuovo, a loro volta eredi di quel Centro studi Ordine Nuovo, fondato nel 1956 da Giuseppe Umberto (Pino) Rauti e confluito in parte, nel 1969, nel Msi di Giorgio Almirante». Un gruppo che, lungi dall’essere «solo» filo-nazista, rappresentò una struttura intranea agli apparati militari dell’intelligence italiana e dell’alleanza atlantica negli anni della guerra non ortodossa al comunismo fatta di stragi, attività eversive e minacce golpiste. Un percorso che oggi ha portato il processo di Brescia sulla soglia degli uffici del Comando Nato di Verona.
Gli autori offrono così, per il tramite dell’intelligenza dei fatti, elementi conoscitivi imprescindibili e richiamano l’osservazione sul modo in cui nella sfera pubblica è rappresentato il «racconto» delle stragi e, dunque, sul modo in cui noi, in ultima istanza, rappresentiamo noi stessi