La senatrice a vita interviene in aula e boccia il ddl Casellati contro il rischio autocrazia
Liliana Segre durante il discorso in aula - foto Ansa
Che Liliana Segre avrebbe fatto nell’Aula del Senato un intervento sul premierato all’insegna della franchezza era trapelato. Ma lo spessore morale della senatrice a vita, chiamata a Palazzo Madama dal presidente Mattarella, ha reso gli argomenti espressi ieri contro il ddl Casellati come macigni in grado di seppellire il testo, anche di fronte all’opinione pubblica se il centrodestra volesse correre verso il referendum.
Liliana Segre
Illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare e drastico declassamento a danno del presidente della Repubblica
LA CRONACA DELLA GIORNATA è iniziata ieri mattina sulle pagine del Corriere della Sera, dove il prof Angelo Panebianco ha invitato la maggioranza a modificare il ddl sul premierato elettivo accettando le migliorie ( ballottaggio, voto degli italiani all’estero, ecc) indicate da una serie di costituzionalisti e studiosi. Per rafforzare il suo ragionamento Panebianco ha attaccato «l’opposizione intransigente dei soliti noti, quelli che ’non si tocca la Costituzione nata dalla Resistenza’». Un colpo al cerchio e uno alla botte nella speranza di farsi sentire dal centrodestra.
Nel pomeriggio in Senato è ripresa la discussione generale sul ddl Casellati, fase che dovrebbe chiudersi domani mattina. E qui l’intervento della senatrice Segre, prima ancora degli argomenti, ha mostrato una lucidità politica sullo stato del dibattito: la maggioranza è chiusa nel patto Lega-Fdi su autonomia e premierato, e quindi è sorda a qualsiasi istanza estranea a tale accordo. Un punto che Panebianco non ha ancora capito. Di qui la scelta di Segre della franchezza, resa ancora più forte dal sul tono pacato.
«IL TENTATIVO DI FORZARE un sistema di democrazia parlamentare introducendo l’elezione diretta del capo del governo», ha detto Segre, comporta «il rischio di produrre un’abnorme lesione della rappresentatività del parlamento, ove si pretenda di creare a qualunque costo una maggioranza al servizio del Presidente eletto, attraverso artifici maggioritari tali da stravolgere al di là di ogni ragionevolezza le libere scelte del corpo elettorale». «Infatti, l’inedito inserimento in Costituzione della prescrizione di una legge elettorale che deve tassativamente garantire, sempre, mediante un premio, una maggioranza dei seggi a sostegno del capo del governo, fa sì che nessuna legge ordinaria potrà mai prevedere una soglia minima al di sotto della quale il premio non venga assegnato».
Insomma una «illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare». «Ulteriore motivo di allarme – ha insistito Segre – è provocato dal drastico declassamento che la riforma produce a danno del Presidente della Repubblica». «E la preoccupazione aumenta per il fatto che anche la carica di Presidente della Repubblica può rientrare nel bottino che il partito o la coalizione che vince le elezioni politiche ottiene, in un colpo solo, grazie al premio di maggioranza». «Ciò significa che il partito o la coalizione vincente – che come si è visto potrebbe essere espressione di una porzione anche assai ridotta dell’elettorato – sarebbe in grado di conquistare in un unico appuntamento elettorale il Presidente del Consiglio e il governo, la maggioranza assoluta dei senatori e dei deputati, il Presidente della Repubblica e, di conseguenza, anche il controllo della Corte Costituzionale e degli altri organismi di garanzia. Il tutto sotto il dominio assoluto di un capo del governo dotato di fatto di un potere di vita e di morte sul Parlamento». E poi la chiusa impietosa: «Non tutto può essere sacrificato in nome dello slogan ’scegliete voi il capo del governo!’ Anche le tribù della preistoria avevano un capo, ma solo le democrazie costituzionali hanno separazione dei poteri, controlli e bilanciamenti, cioè gli argini per evitare di ricadere in quelle autocrazie contro le quali tutte le Costituzioni sono nate».
LA PREMIER Giorgia Meloni, a fronte delle argomentazioni di Segre non ha saputo far altro che ribadire che si va avanti a testa bassa verso il referendum: «Non è un referendum sul presente, vedo sempre tirare per la giacchetta il presidente della Repubblica ma nel 2028 saremo anche verso la fine del mandato di Sergio Mattarella, è una riforma che guarda al futuro».