RIFORME. L’Ufficio studi di palazzo Madama evidenzia le incongruenze e le ambiguità del ddl Casellati, osservate anche dai costituzionaliasti. La discussione generale sul testo riprende martedì. La maggioranza leggerà i rilievi?
La ministra Casellati - foto di Maurizio Brambatti/Ansa
L’ufficio studi del Senato non ha fatto sconti al ddl Casellati sul premierato elettivo. Con un linguaggio più paludato del consueto – la pressione sui dipendenti di Palazzo Madama è forte – il dossier preparato per l’approdo in Aula del testo, ne evidenzia tutti i “bachi” e i “buchi” a partire dal fatto che vengono taciuti una serie di elementi necessari, rimandandoli alla legge elettorale. La discussione generale sul testo riprenderà martedì alle 16 e l’auspicio è che anche nella maggioranza vengano letti questi rilievi.
I dossier del Servizio studi ordinariamente segnalavano gli elementi su cui intervenire con una esortazione («si valuti l’opportunità di…») che nel caso del premierato viene evitata; tuttavia altre espressioni («rimane da approfondire» o «appare da approfondire») pur attenuate, sono altrettanto indicative, mentre il ripetuto «pare» segnala che il testo è ambiguo, che può essere interpretato in vari modi.
LA PRIMA INCONGRUENZA riguarda l’elemento centrale del ddl, racchiuso nel comma: «Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni». «Pare – osserva il dossier – così esser fatto proprio un modello di ‘governo di legislatura’». E però il ddl Casellati prevede la possibilità di un secondo premier che subentra a quello eletto, e anche «apposite fattispecie di scioglimento ‘necessitato’ delle Camere», Camere che quindi durerebbero meno dei cinque anni del mandato del premier eletto. Insomma è quello che hanno detto tutti i costituzionalisti ascoltati in audizione: la durata della legislatura, nei regimi parlamentari, è quella del parlamento. Per un mandato elettivo diretto può essere indicata la durata, come avviene negli Usa o in Francia per il presidente, ma non quando questo dipende dalla fiducia del parlamento la cui legislatura può durare meno. Errore da matita blu.
L’ALTRO ELEMENTO che i funzionari di Palazzo Madama chiedono esplicitamente di «approfondire» è apparentemente più tecnico, ma nasconde un “baco” che può creare un cortocircuito istituzionale: «Il Presidente del Consiglio è eletto nella Camera nella quale abbia presentato la sua candidatura», afferma il ddl per fugare il fantasma di presidenti del consiglio tecnici. Ma allora «la legge elettorale dovrà prevedere forme di collegamento fra la candidatura a Presidente del Consiglio e la candidatura a parlamentare, tali da garantire che l’elezione a Presidente del Consiglio comporti comunque anche l’elezione alla Camera per la quale il Presidente eletto abbia presentato la sua candidatura a parlamentare». Detta altrimenti: una legge elettorale che garantisca l’elezione di un candidato, seppur aspirante anche alla carica di premier è un tantino incostituzionale. Non solo: rimane «da approfondire, si direbbe, la questione della cosiddetta verifica dei poteri da parte della Camera di appartenenza ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione, non inciso dal progetto di riforma». Infatti la Camera di appartenenza – nella apposita Giunta per le elezioni – deve controllare che tutti gli eletti abbiano i requisiti per la loro eleggibilità, o viceversa che non risultino ex post ineleggibili. Se il candidato premier viene eletto c’è anche la garanzia che non incappi nelle verifiche previste dall’articolo 66 della Costituzione?
IL DOSSIER OSSERVA POI anodinamente, senza espresso invito ad «approfondire» una serie di “buchi” del ddl rimasti nella penna della ministra Casellati e dei suoi sherpa e «demandati alla futura legge elettorale», come ripetutamente viene osservato. «La legge – viene annotato – dovrà dunque definire se la votazione per l’elezione del Presidente del Consiglio avvenga su una scheda a sé o avvalendosi delle schede per l’elezione di Camera e Senato, e quale strumentazione sia volta a regolare o contenere le possibilità di un voto ‘disgiunto’, ad esempio nell’ipotesi in cui l’elettore voti in modo del tutto diverso tra Camera dei deputati e Senato della Repubblica». Ma impedire all’elettore la libertà di scelta dei propri rappresentanti, imponendogli di scegliere all’interno della stessa coalizione senatore e deputato, è illegittimo. Lo ha detto la Corte costituzionale nella sentenza 1 del 2014.
ALTRI PUNTI CHE L’UFFICIO studi osserva siano stati impropriamente rinviati alla legge elettorale riguardano il ballottaggio (mentre al contrario viene costituzionalizzato il premio di maggioranza), le soglie minime (sia per il candidato premier che per le due Camere). Inoltre c’è la grave omissione nel chiarire il peso del voto degli italiani all’estero («parrebbe da approfondire il tema del concorso del voto all’estero al premio di maggioranza, tale da incidere sull’attribuzione di seggi di ‘altri’ rispetto a quelli costituzionalmente assegnati alla circoscrizione Estero»), elemento sottolineato lunedì scorso anche dai costituzionalisti di Magna Carta, LibertàEguale, Io cambio e Riformismo e Libertà