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CAMPUS LARGO. In gioco non c’è solo la libertà accademica, ma la stessa idea che una società libera si distingue da un regime autoritario per la tolleranza che mostra per i dissidenti. Se la faccia del liberalismo occidentale è coperta dal casco di un poliziotto, diventa molto difficile distinguerla da quella degli «aspiranti fascisti»

sgomberi polizia usa 

La forza non è un surrogato della verità. In diverse università degli Stati uniti è in corso una repressione violenta delle proteste studentesche. E ciò avviene con la copertura di esponenti del partito democratico che, dalla Casa bianca in giù, usano il pretesto dell’antisemitismo per legittimare l’uso della forza, nonostante sia ben chiaro, a chiunque avesse voglia di accertare come stanno le cose, che tra i gli studenti che dimostrano contro la politica del governo Netanyahu ci sono anche molti ebrei, come testimoniano diversi organi di stampa, a partire dal quotidiano Haaretz.

Si fatica a comprendere quale sia il calcolo politico che ha spinto Joe Biden a dare di fatto «luce verde» a una repressione così massiccia e indiscriminata, a pochi mesi da un’elezione in cui i sondaggi lo vedono in calo dei consensi proprio tra gli elettori più giovani e tra quelli che appartengono alle minoranze che sono più sensibili alla questione palestinese (non solo i cittadini di origine araba, ma anche coloro che appartengono a altre minoranze, per le quali espressioni come «apartheid» o «colonialismo» non sono soltanto temi di interesse accademico).

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BIDEN sembra disposto a perdere le elezioni pur di non far mancare il proprio sostegno al governo più screditato della storia di Israele e nonostante una vittoria di Trump sarebbe probabilmente un disastro per tutti, sia negli Stati uniti sia nel resto del mondo.

Non può essere solo l’età, che pure ha un peso, a giustificare una politica così ottusa (Bernie Sanders, per fare un esempio, non è certo un ragazzino, eppure sulla questione di Gaza ha una linea molto più equilibrata: inflessibile contro i rigurgiti di antisemitismo, che ci sono, in qualche caso anche tra gli studenti, ma ferma nella difesa dei diritti dei palestinesi e prima di tutto nella richiesta di iniziative più efficaci per arrivare rapidamente al cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas).

Nei prossimi mesi ci saranno domande spiacevoli a cui dovremo sforzarci di trovare una risposta. Domande che hanno a che fare anche, lo dico con dolore, con l’insensibilità dei liberali nei confronti delle ragioni di chi ha subito, e in qualche caso ancora subisce, il dominio coloniale europeo nel Medio Oriente, in Africa, in Asia e anche nelle Americhe.

La forza non è un surrogato della ragione. Eppure, nell’attacco alle università che vede alleati i repubblicani e una parte dell’establishment democratico si trasmette proprio questo messaggio, con conseguenze che potrebbero essere devastanti per gli orientamenti politici di una generazione.

Nei luoghi che dovrebbero essere il polmone che consente all’opinione pubblica democratica di avere l’ossigeno che le serve per rimanere in buona salute si tenta di soffocare il dissenso invece di riportarlo all’interno di una sana dialettica e di un possibile compromesso (che qualche università si sia per ora sottratta al riflesso condizionato della repressione, lascia aperto uno spiraglio alla speranza, ma temo che sia troppo poco e troppo tardi per evitare il danno).

In gioco non c’è solo la libertà accademica, che i cultori dell’università corporate ritengono meno importante della tutela del diritto di proprietà, ma la stessa idea che una società libera si distingua da un regime autoritario per la tolleranza che mostra per i dissidenti, anche quando esercitano forme di disobbedienza civile che comportano la violazione della legge.

LE PAGINE di John Rawls e Hannah Arendt stanno ritornando di stringente attualità e denunciano il vuoto di legittimazione morale che c’è al cuore del neoliberalismo contemporaneo, che ha sostituito l’imperativo del profitto all’eguale rispetto per ciascuno.

Gli eventi di questi giorni negli Usa ci riguardano. Le destre, sempre più forti e arroganti in Europa, guardano con compiacimento a quel che accade oltre oceano. Se la faccia del liberalismo occidentale è coperta dal casco di un poliziotto in tenuta antisommossa, diventa molto difficile distinguerla da quella degli «aspiranti fascisti» (come li chiama Federico Finchelstein) che tra qualche mese potrebbero avere un peso ancora maggiore anche qui da noi.