I dilemmi che pone il voto abruzzese, dopo quello sardo, non sono facili da sciogliere. Si conferma una pesante difficoltà del M5S a «tenere» il suo elettorato, quando la partita si gioca sul terreno locale e regionale. Si sbaglierebbe a ridurre la questione solo ad una ritrosia rispetto alle coalizioni: nel 2023, in molte elezioni locali, la varia collocazione delle liste del M5S, anche quella solitaria, non ha influito minimamente. E tuttavia, i sondaggi nazionali continuano a segnalare per il M5S un cospicuo 15%: ed è un dato stabile da molti mesi. Come spiegare questo paradosso?
Credo che la chiave debba essere cercata in alcune spiegazioni di medio-lungo termine, non schiacciata sulle contingenze: l’elettorato del M5S ha vissuto un intenso e costante ricambio interno, dal 2013 ad oggi, ma porta ancora in sé i segni di una radicata sfiducia, di un sentimento «anti-politico», di un senso di estraneità verso il «sistema» o verso il gioco politico. Sono elettori con un debole senso di identificazione partitica. E le elezioni locali interessano poco, a questi elettori, propensi all’astensione o alla dispersione.
Tanto meno incide quello che si dice «il radicamento territoriale»: non a caso, il progetto di costruire una rete locale più solida ha incontrato e incontra molte difficoltà: semplicemente, fare gli «attivisti» o i dirigenti «locali» (nel senso classico e ineludibile del termine) non sembra molto attraente. (Per inciso, il peso di questa presenza territoriale, in generale, per tutti i partiti, non va sottovalutato: avvezzi oramai a guardare solo le performance mediatiche dei leader, si dimentica quanto valgano le reti di relazioni dirette con le persone: lo si è visto anche in Abruzzo, con il voto nei piccoli paesi. Le tradizioni contano: l’Abruzzo, ricordiamolo, era la terra del mitico capo democristiano Remo Gaspari, noto perché riceveva in canottiera nel suo feudo di Gissi).
Alle politiche cambia lo scenario competitivo: e sarà davvero probante il test delle europee. Il M5S è il partito più «personale» che esista, sulla scena odierna. Il credito e la popolarità di Conte non sembrano attenuarsi e rimane questa la carta su cui il M5S può contare. Nel complesso, appare saggio il tentativo che Conte ha intrapreso nei mesi scorsi, per cercare di svolgere una sorta di azione pedagogica nei confronti del suo stesso elettorato, cominciando a farlo abituare all’idea (assai indigesta per molti) che una coalizione con il Pd è inevitabile, oramai, specie dopo l’esperienza del Conte II. Ma evidentemente, questa strategia gradualista non basta più: dopo le Europee, il dilemma si riproporrà, e bisogna che tutti gli attori in gioco scoprano le loro carte. Sulla base di alcuni semplici dati di fatto, che bisogna scodellare dinanzi agli elettori: in primo luogo, i vincoli che vengono imposti dai sistemi elettorali. Si vuole restare in partita, o si gioca a perdere (sapendo che in tal modo si scoraggia anche la partecipazione)?
Se qualcuno pensasse di poter modificare sostanzialmente, e a breve termine, i rapporti di forza interni alla futura coalizione, fa davvero male i suoi conti. Il “campo” è quello, e anche uno o due punti in più o in meno, per l’uno o per l’altro, non cambierebbero i dati del problema
Lo stesso voto abruzzese, pur negativo, mostra qualche potenzialità. Il totale dei voti validi nel 2019, 2022 e 2024 rimane quasi stabile: nel 2022, la somma dei voti di Pd, M5S e Iv/Azione era di quasi 292 mila voti; oggi, D’Amico, ne raccoglie quasi 285 mila (per inciso, chissà che fine hanno fatto i 17 mila voti di UP e di Rizzo?). Con una coalizione così ampia ed eterogenea, la dispersione dei voti appare contenuta e, dalle prime analisi dei flussi a L’Aquila e Pescara, attribuibile soprattutto all’astensione di elettori M5S e alla defezione di elettori centristi. Può significare, forse, che la compatibilità tra i vari elettorati comincia a crescere? Lo vedremo, già presto in Basilicata.
Il confronto con le regionali del 2019 è più negativo: ma va ricordato che il M5S (20%) correva da solo, ed era la fase del governo giallo-verde (nel frattempo, la stessa candidata del M5S è passata a Forza Italia, sintomo della trasversalità dell’elettorato di allora).
Che fare, allora? Bisognerebbe inventare qualcosa: ad esempio, comitati locali di coalizione, o anche una prima bozza di programma comune, su cui avviare una qualche forma di consultazione diffusa nel paese. Occorre superare l’idea, che finora ha prevalso, di una convergenza su questo o quel tema: alla lunga non basta, come non è bastato finora.
Certo è che non si intravvedono alternative alla paziente costruzione di un’alleanza politicamente più solida. Coloro che, tra i commentatori, ma forse anche dentro il Pd, pensano che l’asse Pd-M5S non sia praticabile, dovrebbero dire cosa mai propongono di diverso. Una polemica continua, e una battaglia all’ultimo voto, per «distruggere» il M5S? Ammesso che ciò abbia successo, non pare proprio che questi elettori in fuga dal M5S possano rivolgersi al Pd…