La Nave Duilio in navigazione nel Mar Rosso - foto Ansa
Ieri Camera e Senato hanno approvato a larghissima maggioranza, tranne fortunatamente il voto contrario di Alleanza Verdi Sinistra, il documento del governo per la partecipazione dell’Italia alla missione militare navale Aspides, della quale abbiamo il comando tattico mentre la guida strategica è della Grecia. E lo ha fatto non solo dopo una serie di voti incrociati su altre “missioni” del governo per le quali erano state presentate anche altre mozioni, del Pd e del M5S. Ma soprattutto dopo la relazione del ministro degli esteri Tajani, una sintesi di gravi non-detti e ambiguità pesanti.
La prima cosa infatti che il ministro non ha detto è che in una azione di guerra la nave militare Caio Duilio si è già trovata ben prima del voto in Parlamento. Cosa non da poco, siamo al fatto compiuto per il quale la democrazia serve come surrogato a posteriori. Più rilevante certo la giustificazione del perché anche stavolta partono le cannoniere: per il libero commercio, che sarebbe messo a repentaglio dagli Houthi, e per il diritto internazionale. Sul libero commercio c’è da dire che è ormai in corso da anni un conflitto protezionistico, fatto di dazi e prebende capitalistico-finanziarie di carattere ipernazionalista (c’è anche l’America di Biden purtroppo, che è First quanto quella di Trump), che vede come attori non gli Houthi ma i competitor internazionali, non solo Cina contro Usa e viceversa, ma anche Usa vs Ue.
Certo è vero che per quel che riguarda l’Italia è dal Canale di Suez che transita il 40% esportato del Made in Italy; e che dall’inizio dei sabotaggi degli Houthi di questa rotta, la maggior parte del traffico doppia il Capo di Buona Speranza e raggiunge i porti europei dall’Oceano Atlantico, con relativo aumento dei prezzi di assicurazioni e costo dell’invio di container. Un fatto è certo però: il boicottaggio armato degli Houthi yemeniti – appena usciti da una guerra civile di 8 anni dove è intervenuta l’Arabia saudita e dove hanno fatto vittime anche le bombe italiane – non c’era prima della crisi di Gaza; “crisi” andata ben oltre la catastrofe, denuncia l’Onu, con la risposta indiscriminata e criminale al massacro del 7 ottobre di Hamas, del governo israeliano per questo ora imputato all’Aja per “plausibile genicidio – che vede più di due milioni di persone ridotte alla fame, in fuga dal tiro al piccione dei raid, con 12mila bambini e 9mila donne uccisi (siamo a 31mila vittime civili, migliaia e migliaia di ferite e mutilati, una litania infinita di sangue).
Gli Houthi dichiarano che la loro iniziativa militare è per ridurre la pressione dell’esercito israeliano contro i palestinesi. Vuoi vedere che, in realtà, il commercio internazionale e quello del Made in Italy è a repentaglio perché continua la strage a Gaza, quella che nemmeno il povero Biden riesce o vuole fermare? Perché Netanyahu va a briglie sciolte, tanto all’Onu gli Usa mettono il veto a qualsiasi risoluzione sul cessate il fuoco, la sola che lo obbligherebbe a fermare quella che da subito ha dichiarato essere una “vendetta”. Insomma, dovrebbe finire questa per far finire il boicottaggio degli Houthi, non allargare il conflitto mediorientale, nel Mar Rosso e in Libano. II diritto internazionale dice che bisogna fermare l’esercito israeliano, battersi all’Onu per un cessate il fuoco incondizionato quanto immediato, riconoscere lo Stato di Palestina subito (lo Stato d’Israele c’è già ed è ampiamente riconosciuto) . Non risulta che su questo diritto l’Italia stia agendo, se non con tante, troppe parole. Peggio, confermiamo il tagli dei fondi all’Unrwa, ma ci vantiamo di minimi gesti “umanitari” quanto spettacolari, mentre a Gaza più di due milioni di esseri umani, con centinaia di migliaia di bambini – testimoni di questo misfatto storico – , muoiono di fame e seppelliscono i familiari nelle fosse comuni.
Ma il vero non detto è un altro. Ed è “lessicale”. C’era nel documento Tajani, immaginiamo concordato con i comandi militari, l’avverbio “eminentemente” a rivelare, sotto sotto, la natura della missione presentata come “difensiva”. Una contraddizione evidente che rendeva chiaro come nella difficoltà della sola difesa di fronte ad un attacco, poteva pure starci il “caso” di una risposta offensiva. A parte la considerazione su azioni e armi difensive che invece diventano offensive (vedi l’Ucraina). Ma nell’intento governativo di avere l’approvazione – il deja-vu di nuovi volenterosi – anche dell’opposizione Pd e M5S alla missione militare, questo avverbio su richiesta è stato cancellato. Tutti d’accordo dunque, tutti uniti in un “campo larghissimo” che porta l’Italia ancora una volta in guerra.
Giacché quell’avverbio che prima non riusciva a sottenderla, adesso, appena tolto, nasconde malamente l’”eminenza” della guerra. Le navi italiane nella missione Aspides sono al seguito, sulla scia navale, di ben altre missioni – c’è un’intera flotta di oltre 5 missioni occidentali nel Mar Rosso – in particolare della armatissima task force Prosperity Guardian a guida anglo americana che – al contrario della decisione del Consiglio di sicurezza Onu del 10 gennaio scorso che per far cessare gli attacchi Houthi ribadisce il diritto degli Stati alla “difesa” – invece colpisce “eminentemente” gli Houthi anche a terra. Le nostre navi che “non li bombardano” e sono ingaggiate “solo” per rispondere al fuoco, sono però lì sulla scia, appena dietro quelle in battaglia, in “offesa”, cioè in guerra. E non basta la bandiera. E’ augurabile, ma è difficile che droni e siluri le sappiano distinguere