OPINIONI. Si alimenta così dall’una e dall’altra parte il mito devastante di una impossibile «soluzione finale». Tutto congiura per polarizzare e radicalizzare
Due pietre d'inciampo, dedicate ai deportati Eugenio e Giacomo Spizzichino, oltraggiate a Roma - Ansa
L’Europa è in allarme per il diffondersi crescente di fenomeni di antisemitismo. Giustamente. L’ostilità antiebraica, tuttavia, raramente si manifesta oggi allo stato puro.
Nella versione più strettamente razzista si combina con un atteggiamento xenofobo, che include arabi, musulmani, neri e rom. Ispirandosi a una versione neofascista dell’ideologia della «purezza». In questo calderone complottista ciascuno svolge il proprio ruolo: gli ebrei manovrerebbero, grazie alla loro potenza finanziaria, la «sostituzione etnica» nera e musulmana destinata a sommergere le tradizioni cristiane e gli stati nazione che le incarnano. Un delirio condiviso su entrambe le sponde dell’Atlantico e non solo da frange irresponsabili e marginali.
Nella versione «politica» filopalestinese di tradizione nazionalista, quella che appare oggi in maggiore espansione, l’antisemitismo, laddove si impone, poggia sull’idea che l’identificazione di tutti gli ebrei con il governo dello stato di Israele sia assoluta ed esistenziale, qualunque politica questo persegua e qualunque mezzo impieghi per risolvere, rimuovere, se non cancellare del tutto, il problema palestinese. E ne condividano dunque la responsabilità.
C’è poi da sempre un antisemitismo popolare nutrito di vecchi pregiudizi e stereotipi che viaggia su uno stretto crinale tra il mugugno risentito e la sempre possibile esplosione di aggressività.
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Tra questi differenti bacini, tutti radicati nella destra e nei fondamentalismi religiosi, i travasi e i passaggi non sono infrequenti e le combinazioni ideologiche molteplici. A dispetto della sua natura fondamentalista, l’antisemitismo è un’attitudine opportunista pronta ad insediarsi in diversi azioni e discorsi, capace di minacciare in varie forme la vita e la cultura delle comunità ebraiche nel mondo.
Ma i governi europei, con i loro divieti di manifestare per la Palestina, con l’imposizione di una adesione incondizionata alla conduzione israeliana della guerra contro Gaza, con la fiacchezza con cui si richiamano alle ragioni umanitarie e alla buon’anima del diritto internazionale, stanno davvero contrastando nel modo più efficace il diffondersi dell’antisemitismo o piuttosto offrendogli nutrimento?
Laddove si dovrebbero recidere i nessi velenosi stabiliti dall’ideologia (quel corto circuito che fonde in uno l’irrinunciabile esistenza dello stato di Israele e della sua sicurezza, la sua cinica politica regionale, l’azione di un premier fanatico e screditato con la tonnara di Gaza e il violento far west cisgiordano), si invoca invece uno schieramento senza riserve e senza pensieri se non l’ovvia condanna di Hamas, che occupa ormai, quasi in solitaria, il centro della scena palestinese. Si alimenta così dall’una e dall’altra parte il mito devastante di una impossibile «soluzione finale». Tutto congiura per polarizzare e radicalizzare.
In Germania il problema dell’antisemitismo ha, per così dire, il suo centro di gravità permanente. Ed è in Germania che l’allarme rosso è scattato, ma per tradursi immediatamente in una adesione senza condizioni e senza obiezioni all’azione bellica condotta dal governo di Netanyahu nella striscia di Gaza. Con l’imposizione del silenzio a qualunque protesta da parte di una ormai vasta popolazione musulmana (prevalentemente turca) e di chiunque si preoccupi del destino dei palestinesi.
Questa posizione è un alibi. Da un bel pezzo la destra tedesca, e non solo quella estrema, pretende che la si faccia finita con il debito che la Germania ha contratto, non solo con gli ebrei ma con il mondo intero tra 1933 e il 1945. Insomma, la formula del «gigante economico e nano politico», il pacifismo, il riguardo per l’Europa, l’apertura ai migranti e una larga garanzia di asilo politico, il sottodimensionamento militare, sono diventati un motivo di insofferenza, cavalcato dalla destra e inseguito affannosamente dal governo rosso-verde-giallo di Olaf Scholz. La Germania riarma, si accinge a una politica di respingimenti e rimpatri, stringe le maglie del diritto di asilo.
Nel paese le aggressioni e i vandalismi a sfondo razzista e antisemita sono eventi diffusi e quotidiani, ben più estesi dei festeggiamenti filo Hamas a Berlino, tra le forze dell’ordine le simpatie per l’estrema destra non sono un caso raro. Non resta, della responsabilità tedesca, che il giuramento di fedeltà a Israele e la retorica che lo accompagna. Tutto sommato, un saldo a buon mercato.
Del resto, a destra, in funzione anti-islamica e geopoliticamente filoccidentale, lo sbandierato sostegno, non privo di ammirazione, per il nazionalismo israeliano convive con profonde radici antiebraiche. A un certo terzomondismo, invece, si può imputare il credito concesso a inaccettabili regimi autoritari postcoloniali, ma non certo una propria inclinazione antisemita, come invece tendono opportunisticamente a sostenere le destre governative e i loro portavoce, per scrollarsi finalmente di dosso ogni sospetto