Per la politologa Nadia Urbinati, presidenzialismo e autonomia snaturano l'assetto istituzionale. Serve una grande mobilitazione per fermarli
Quella voluta dalla maggioranza e dal governo è una riforma scellerata, che frantumerebbe il Paese, che cambierebbe la natura della nostra democrazia da parlamentare a plebiscitaria. E che sposterebbe la sovranità dal popolo all’esecutivo. È questo il cuore della riflessione della politologa Nadia Urbinati, che sostiene la necessità di una cittadinanza attiva e responsabile per evitare lo scempio della Costituzione.
Uno degli obiettivi del governo è portare a casa una riforma della Costituzione fondata su due tasselli che sembrano quasi uno scambio, presidenzialismo e autonomia differenziata. Il nostro Paese ha davvero bisogno di queste riforme?
No, non ne ha bisogno. È evidentemente a questo proposito che la destra al potere usa la discussione sulle riforme, anche per deviare dai problemi che incontra nella politica ordinaria. Sarebbe meglio che s'impegnasse a
rispondere ai bisogni dei cittadini e delle cittadine. La stragrande maggioranza della popolazione è sotto stress per ragioni non solo economiche, ma anche ambientali (le alluvioni, il caldo estremo). Governo e maggioranza, invece, insistono sulla riforma costituzionale: è una specie di tormentone che serve a occultare i problemi che ha nel governare.
È una riforma scellerata. Innanzitutto perché divide il Paese e mette le regioni in concorrenza tra loro, in un rapporto non unitario o cooperativo. È scellerata, inoltre, perché in una situazione di regionalismo competitivo, l'unica espressione di unità viene a essere il presidente eletto. In realtà esiste una relazione forte tra le due proposte, anche se non è ben chiaro se il presidenzialismo riguarda l’elezione diretta del presidente del Consiglio o della Repubblica. In ogni caso sarebbe una scelta scellerata che influirebbe sul modo d'essere della democrazia.
La nostra Costituzione è un raffinatissimo gioco di equilibri, di pesi e contrappesi. Questo equilibrio come verrebbe modificato? Quali rischi si correrebbero?
Il nostro sistema è certo un sistema di contrappesi, ma non è solo questo. Quella disegnata dalla Costituzione non è una Repubblica liberale: la nostra è una Repubblica democratica fondata sulla sovranità popolare, come dice l'articolo 1 della Carta, che risiede nel Parlamento e nelle altre istituzioni. Il potere fondamentale, quindi, è la sovranità popolare; gli altri poteri devono in qualche modo limitarne l'azione così da consentire la protezione dei diritti fondamentali.
Cambiando quest'ordine delle cose, cosa succederebbe?
Si verrebbe a cambiare l'equilibrio dei poteri e la forma stessa della democrazia. L’effetto delle riforme meloniane sarebbe uno sbilanciamento nel rapporto dei poteri, con uno spostamento a favore non del Parlamento ma del presidente. Si affermerebbe un assetto monocratico e plebiscitario. L’assetto istituzionale dipenderà essenzialmente dall’esecutivo - se, come si capisce, a essere eletto direttamente sarà il presidente del Consiglio dei ministri che avrà il potere di nominare e sfiduciare i suoi ministri.
I fautori della riforma affermano che in realtà uno svuotamento del Parlamento già esiste. Concorda con quest'ipotesi? E se sì, davvero la ricetta è quella del rafforzare l'esecutivo?
Chi afferma questo è in malafede, e mi scuso per la parola dura. Questo è un inganno, perché se è vero che esiste uno svuotamento del Parlamento allora si tratterebbe di intervenire per ridargli potere. Ritengo che la riforma costituzionale che ha dimezzato il Parlamento sia stata una iattura: se si vuole veramente ricostituire i poteri del Parlamento vanno ridisegnate le regole, i regolamenti parlamentari ancora basati sulla vecchia composizione del Parlamento, al punto che le commissioni sono difficili da comporre perché gli eletti sono di meno e quindi devono coprire diverse funzioni.
Cosa servirebbe, quindi?
La riforma necessaria, se si volesse davvero rispettare la Costituzione e la sua democrazia parlamentare, è la riorganizzazione di Camera e Senato per dare più efficacia al Parlamento. Ma il centrodestra non crede nella democrazia parlamentare, crede invece nel potere idealmente senza ostacoli della maggioranza, con monarchia eletta.
La distanza tra politica e cittadini e cittadine è sotto gli occhi, il tasso di astensionismo alle elezioni ci dà la misura del fenomeno. Come ridurre questa distanza?
Distanza reale, certo. I cittadini, però, dovrebbero anche essere più responsabili: sono i sovrani, e se il sovrano perde civica responsabilità, anche la sua sovranità perde di valore. Io non posso prendermela con i cittadini che non vanno a votare, ovviamente, però servirebbe una campagna, diciamo permanente, per far capire loro quanto deleterio sia non usare i poteri che hanno e quanto pericoloso sia non interessarsi neppure ogni cinque anni al momento del voto. Questo è un problema serio, occorre fare un lavoro di educazione civica, alla cittadinanza attiva e responsabile.
A chi spetta questo lavoro?
A tutti noi, a me, a lei. È necessaria un'assunzione di responsabilità collettiva e dei singoli. Spetta a tutte le associazioni, a tutti i partiti, ma anche alle persone singole. La cittadinanza attiva è fatta di cittadini singoli che si associano, quindi devono essere in grado, come cittadini individuali associati, di svolgere la propria funzione, che non è solo votare, ma anche preparare l'opinione pubblica e stimolare con parole e azioni una cittadinanza attiva e responsabile.
Infine, cosa occorre fare per fermare la riforma della Costituzione della destra?
Occorre esercitare il potere della sovranità e la responsabilità dell’essere cittadino. Occorre battersi in Parlamento e in tutti i luoghi dove c’è la rappresentanza popolare. E occorre mobilitarsi fuori dalle istituzioni per far sentire forte e chiara la volontà critica popolare. La riforma della Costituzione voluta da Renzi è stata fermata dalla mobilitazione popolare di associazioni e di singoli, oggi occorre fare la stessa cosa. Ci si mobilita nei luoghi dove c'è il potere rappresentato, quindi anche nelle Regioni, nei Comuni e nella società. Dovunque si possa evidenziare l'efficacia della cittadinanza. È necessario reimparare a fare i cittadini, a esercitare la sovranità che la Costituzione ci assegna