Per il professore emerito di Scienza politica Gianfranco Pasquino, confusione e poca conoscenza emergono dal tavolo di confronto tra maggioranza e opposizione
La stabilità non si garantisce cambiando le regole di funzionamento delle istituzioni. Servono classi dirigenti e visione. La presidente Meloni non ha ricevuto il mandato di cambiare la Costituzione, non ne ha nemmeno il diritto ma la facoltà. I padri costituenti, ben consapevoli che la Carta avrebbe potuto essere cambiata, hanno fissato criteri e procedure. Attribuendo al popolo il potere di bocciare le riforme approvate da una maggioranza.
Per Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica dell’Università di Bologna e dal curriculum denso di attività accademica, politica, e saggistica (sua ultima fatica "Il lavoro intellettuale. "Cos'è, come si fa, a cosa serve") la fortuna dell’Italia è stata ed è, nei momenti di difficoltà, quella di avere grandi personalità alla presidenza della Repubblica: Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella.
La settimana scorsa si è aperta con la convocazione delle opposizioni chiamate dalla presidente del Consiglio per “confrontarsi” sulle riforme istituzionali...
Credo sia opportuno che opposizioni e governo si parlino e devono farlo, ovviamente, nelle sedi istituzionali. Per altro, mi pare che l’incontro sia stato chiesto proprio dalle opposizioni e bene ha fatto Giorgia Meloni a scegliere il Parlamento come sede del confronto.
Oggetto del confronto le riforme costituzionali. Non è chiaro però quale sia il modello scelto. Ciò che sembra evidente è la volontà dell’elezione diretta, ma non si sa se del presidente della Repubblica o di quello del consiglio.
C’è sicuramente grande confusione, ma anche un'enorme ignoranza delle regole istituzionali, anche delle più semplici da capire. E poi c'è manipolazione. Il premierato, ad esempio, non esiste. Se si fa riferimento alla forma di governo inglese, si commette un errore poiché in quel paese il capo del governo non è eletto dai cittadini, ma è il capo del partito di maggioranza parlamentare. Il primo ministro inglese viene eletto in un collegio uninominale come tutti i deputati. La Meloni sta parlando di questo? Ho la sensazione che stiano riferendosi, facendo appunto confusione, al modello tedesco del cancellierato, ma neanche lì c’è l’elezione popolare diretta, perché questa avviene da parte del Bundestag del capo della maggioranza: questo è il Cancellierato.
E poi c’è il presidenzialismo...
E la questione si complica. Faccio una premessa. A suo tempo, in Assemblea costituente, Piero Calamandrei, discutendo di modello di Stato, propose la repubblica presidenziale americana con una forte rete di autonomie locali, che non erano le Regioni, ma i Comuni. Pensava, infatti, che i comuni fossero la vera storia, la vera spina dorsale dell'Italia. Prevalse un altro modello, ma in sé il presidenzialismo non è costituzionalmente inaccettabile. Detto questo, naturalmente noi abbiamo giustamente delle riserve rispetto a quel modello anche perché intanto occorrerebbe capire a cosa ci si riferisce. E poi da sola l’elezione diretta del presidente non regge, cambierebbe il modello istituzionale, ma come? Si immagina un presidenzialismo sul modello statunitense? Sappiamo che sta dimostrando tutti i suoi problemi e sono tanti. Oppure si guarda a quello latino-americano, che di problemi ne ha sempre avuti ed è assolutamente da evitare? Se rimaniamo in Europa, quello francese è più correttamente un semipresidenzialismo, fu voluto da De Gaulle nel 1958. Mi sembrava di aver capito che questo fosse il modello di riferimento di Meloni. La cosa grave, però, è che non esiste una proposta scritta, si sono tenuti incontri senza nulla su cui confrontarsi.
Forma di Stato e forma di governo, e il Parlamento?
Naturalmente gli equilibri sono diversi a seconda delle forme di governo. Nel caso italiano l'equilibrio non è buono, non perché il modello è sbagliato, ma perché è complicato dal fatto che il governo produce decreti e su quei decreti chiede la fiducia, e quindi schiaccia il Parlamento. Certo, il Parlamento ha lungaggini e lentezze, ma non è questo il modo migliore di governare e rispettare gli equilibri istituzionali. La fiducia deve essere posta solo in casi eccezionali, non su tutti i decreti. Penso, ad esempio, a quello di fine anno – omnibus - che è la somma dei ritardi accumulati dal Parlamento e dal governo. Non bisognerebbe consentire che se la cavino con il voto di fiducia. Dopodiché, a seconda della forma di governo ci sono equilibri diversi.
Quali sono gli equilibri che secondo lei devono essere garantiti, comunque, sempre in una democrazia matura?L'equilibrio che deve essere garantito è sempre quello tra la maggioranza e l'opposizione. La maggioranza non deve mai schiacciare l'opposizione semplicemente con la sua forza numerica. E quindi insisto, l’abuso del voto di fiducia è un elemento di squilibrio nella democrazia parlamentare italiana. Nelle altre democrazie il voto di fiducia è molto raro e dettagliatamente normato. Il Presidente della Repubblica nella democrazia italiana ha qualche volta la possibilità di dire al governo che non deve schiacciare all'opposizione, ma molto di più non può fare.
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La Presidente Meloni ha ripetuto ai suoi interlocutori : “io comunque le riforme le faccio perché mi sono impegnata con gli elettori e perché a questo paese serve stabilità”. La stabilità si garantisce con il presidenzialismo?
La stabilità si garantisce quando una maggioranza è compatta, disciplinata, sa che cosa vuole ed è sufficientemente ampia. Però, garantire la stabilità non serve a niente se poi non si hanno idee per fare le riforme, per fare i disegni di legge, per governare. La stabilità bisogna saperla coniugare con l'efficacia decisionale, cioè con il sapere ciò che si vuole e perseguirlo. Quindi, la stabilità è una premessa, non è un valore assoluto. Si può essere molto stabili ed essere totalmente inefficaci. Giorgia Meloni sbaglia a dire che ha avuto un mandato; non ha avuto nessun mandato. Gli elettori hanno votato Fratelli d'Italia per un insieme di ragioni, non esclusivamente per avere l’elezione popolare diretta del capo stato. Certo, una buona parte dei suoi elettori la vuole, ma non c'è un mandato, è una parola sbagliata. In secondo luogo, finché Meloni non dice quale soluzione vorrebbe adottare, non è possibile esprimersi. Però, intendiamoci, le maggioranze hanno la facoltà, attenzione, la facoltà, non il diritto, di fare le riforme. Possono farle seguendo le procedure che i costituenti hanno individuato, consapevoli sia di poter sbagliare sia che con il tempo alcune condizioni avrebbero potuto cambiare e che quindi si sarebbe dovuto porre il tema delle riforme. Decisero che per cambiare la Carta occorre una maggioranza ampia. Con i due terzi delle assemblee le riforme sono acquisite, ma se la maggioranza parlamentare riformatrice è risicata, è giusto che il popolo possa esprimersi attraverso il referendum costituzionale. Cioè, Giorgia Meloni fa le sue riforme e ha la facoltà di farle, dopodiché chi non le gradisce ha la facoltà di chiedere un referendum contro quelle riforme. Questa è la clausola di garanzia, faremmo un torto ai costituenti se non pensassimo che era esattamente questo che volevano, che il popolo fosse in grado di controllare le riforme fatte da una maggioranza parlamentare.
Nella Costituzione il Parlamento ha una sua centralità nel meccanismo istituzionale del paese, Parlamento, ad esempio, che negli anni 70, pur in presenza di una maggioranza molto segnata politicamente, fece alcune riforme sociali che ancora oggi rendono maturo il nostro paese: dallo Statuto dei lavoratori alla riforma del servizio sanitario nazionale, passando per divorzio e per aborto. L’immobilismo del Parlamento di oggi non dipende né dalla Costituzione né dalla forma di governo. Da cosa allora?
No, non dipende dalla Costituzione naturalmente, dipende dalle persone, dipende dai partiti, dipende dall'ignoranza di quelli che vengono eletti in Parlamento, dalla tracotanza, dalla prepotenza, dal loro non studiare, dal loro non imparare. Se guardiamo a quegli anni in cui presero vita le riforme, troviamo una classe dirigente preparata che spinse per quelle leggi, dai radicali ai socialisti che pur essendo piccoli seppero incidere in Parlamento e fuori. Erano delle minoranze che conoscevano l'argomento, avevano voglia di combattere una battaglia difficile e sono riusciti a vincere. Dopodiché però c'è anche un problema, il Parlamento italiano è l'ultimo rimasto bicamerale – attenzione all'aggettivo, non perfetto, ma paritario – e quindi intervenire sul Parlamento e migliorarlo dal punto di vista strutturale è possibile ed è auspicabile. Anche se si approvasse il presidenzialismo, bisognerebbe migliorare funzione e capacità di lavoro del Parlamento, istituzione che rappresenta i cittadini sia nel legiferare che nella funzione di controllo dell’esecutivo.
Cioè ci sta dicendo che per rispettare gli equilibri istituzionali a fronte di un presidenzialismo andrebbe rafforzato il Parlamento?
Andrebbe rafforzato e migliorato nel funzionamento, assolutamente sì, e anche qui mi faccia fare una digressione di tipo professorale. Nel presidenzialismo americano, il presidente non può sciogliere il Congresso e il Congresso non può sfiduciare il presidente in modo che se le cose funzionano male, sono immobilizzati, cioè sono l'uno di fronte l'altro armati, ma non possono fare nulla. Nel caso del semipresidenzialismo francese, invece, l’Assemblea nazionale può approvare le leggi e il presidente può accettarlo oppure no. Però, il presidente può decidere di sciogliere l’Assemblea nazionale una volta all'anno, con la motivazione che funziona male, ma lo stesso presidente può anche trovarsi in una situazione difficile, quando in quella Assemblea nazionale non ha la maggioranza e quindi quella maggioranza sceglie il primo ministro, che riceve la fiducia dell’Assemblea, e governa. Si ha la cosiddetta coabitazione tra due maggioranze differenti, quella che ha eletto il capo dello stato e quella parlamentare che ha eletto il primo ministro. Ma c’è sempre chi governa e si assume la responsabilità del fatto, non fatto, fatto male.
Quindi, in realtà l'idea che attraverso le riforme costituzionali si garantisce la stabilità – intesa per come l'ha raccontata Meloni come una sorta di potere assoluto, – nei parlamenti dei paesi democratici non c'è.
Quasi nessuno può garantire quella “stabilità”, neanche gli inglesi, che io trovo straordinari da molti punti di vista. Quello in carica è il loro terzo primo ministro nel corso di questa legislatura. La stabilità e l'efficacia vengono garantite soltanto quando ci sono dei partiti che funzionano bene e delle classi politiche preparate, adeguate, capaci di avere personalità che riescono a fare funzionare organismi complessi. Classi politiche di alto livello le abbiamo trovate di tanto in tanto, in Gran Bretagna, certamente in Germania, nei paesi scandinavi. In passato anche noi le abbiamo avute, perché in buona misura la Democrazia Cristiana aveva queste capacità, i socialisti e i comunisti stessi ebbero notevoli capacità. Poi negli anni 80 è cominciato il declino. Abbiamo avuto situazioni difficili e stiamo stati fortunati perché nelle situazioni difficili dalle classi politiche parlamentari sono emerse delle personalità di grandi capacità alla presidenza della Repubblica come Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. Ma, adesso?