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REPUBBLICA CIECA. Il divieto di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista non è una specifica norma, bensì un vero e proprio «paradigma» della Carta

La Carta straccia della seconda carica dello Stato

 

«È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Eppure il presidente del Senato dice che «nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo».

Evidentemente non ha avuto tempo per leggere tutto il testo e non è riuscito ad arrivare alla XII disposizione transitoria e finale. Oppure – il che sarebbe peggio – ritiene che i principi scritti nella parte conclusiva del testo della Carta fondativa della nostra Repubblica democratica non abbiano un particolare valore. In effetti, egli ha dichiarato che solo la prima parte sarebbe «condivisa e incontestabile».

Mi dispiace deludere la seconda carica dello Stato, ma persino uno studente di giurisprudenza sa che le costituzioni devono essere interpretate «sistematicamente», mentre è la Consulta ad affermare la necessità di far riferimento all’insieme dei principi costituzionali e questi sono contenuti in tutte le disposizioni del testo, comprese quelle «finali».

IN PARTICOLARE, il divieto di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista rappresenta non solo una specifica norma, bensì è espressione di quel che è stato definito un vero e proprio «paradigma costituzionale», qualificando pertanto il nostro tipo di democrazia. La quale non è una democrazia «invertebrata», ma «pluralista e conflittuale», ovvero che rifiuta il principio autoritativo che invece si pone a fondamento di quei regimi politici che hanno assunto le forme storiche del fascismo e del nazismo in Europa nel corso del Novecento.

CHE NON BASTI dirsi «democratici» è dimostrato dal fatto che anche

le dittature si sono sempre presentate null’altro che come dei particolari modelli di democrazia: «democrazie identitarie» amava qualificarle Carl Schmitt.

È vero, la Costituzione è di tutti, persino di chi ritiene di non doversi riconoscere nei suoi valori. Basta che ne rispetti i principi e non se ne voglia appropriare per stravolgerne il senso. Anche di chi professa una fede fascista o nostalgica, purché non operi «esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica». Sono queste le parole utilizzate dalla legge Scelba di attuazione della XII disposizione costituzionale, ove si aggiunge che è anche vietato denigrare la democrazia (antifascista) e i valori della Resistenza.

MENTRE APPARE DEL TUTTO fuori posto l’affermazione, sempre del Presidente di tutti i senatori, secondo la quale «il problema è che di quei valori si sono appropriati il Pci e poi la sinistra. Questo è un fatto storico. E a questo mi sono sempre opposto».

Che vuol dire? Sul piano storico non v’è dubbio che tanto la Resistenza quanto la Costituzione sono un patrimonio cui dobbiamo ringraziare (altro che «opporsi») i nostri padri costituenti, tra cui, come protagonisti, i tanti comunisti che hanno combattuto nella resistenza dalla parte giusta ed hanno dato vita alla nostra Costituzione. La quale – forse è bene ricordarlo al nostro distratto Presidente dei senatori – è firmata da un comunista, che è stato presidente dell’Assemblea costituente; da un democristiano, che era Presidente del Consiglio e da un liberale e monarchico in qualità di Capo provvisorio dello Stato.

Come si vede, una Costituzione sottoscritta da tutti, salvo che da quelle forze contro cui si sono scritte le nuove regole del vivere civile: i fascisti, appunto e le loro esecrabili forme del fare politica.

SE POI, CON L’ACCUSA DI «APPROPRIAZIONE» dei valori della resistenza da parte della sinistra si vuole affermare che questa parte politica è l’unica a non aver dimenticato come è nata la nostra Repubblica antifascista e quali sono stati i sacrifici per poterla edificare, ebbene mi sembra si tratti di una dichiarazione di colpevolezza e chiamata di correità di tutte le altre forze di centro e di destra che, invece, di tali valori non si sono voluti «appropriare».

Potremmo paradossalmente dire che si tratta di un giudizio sin troppo generoso nei confronti della «sinistra» unico baluardo della democrazia per come ci è stata consegnata dalla lotta partigiana. In fondo, un’indicazione che questa parte politica dovrebbe cercare di inverare.

Che l’antifascismo rappresenti il paradigma costituzionale è dimostrato dal fatto che proprio la XII Disposizione finale si pone alla base del divieto di una serie di altri reati d’odio. Contrastando tutte quelle pratiche (i comportamenti non le idee, le quali sono invece tutelate dall’art. 21 sulla libera manifestazione del pensiero, fossero anche le opinioni più riprovevoli) che si pongono in contrasto con il valore della dignità e il principio personalista su cui si basa l’intera nostra Costituzione.

COSÌ, DOPO LA LEGGE Scelba, leggi successive hanno provveduto ad estendere, oltre all’ipotesi di riorganizzazione del disciolto partito fascista, anche gli altri casi di atti «commessi per finalità di discriminazione e odio etnico, nazionale, razziale o religioso» (legge Mancino poi spostate all’interno del c.p.).

Nella passata legislatura, infine, proprio collegandosi a questa disposizione «antifascista» si è pensato potesse essere trovata la garanzia nei confronti di altri comportamenti lesivi della dignità sociale e personale: sia con riferimento ai c.d. hate speech, sia nei casi di omotransfobia.

Insomma, l’antifascismo è un principio di civiltà finalizzato ad evitare di farci cadere nella barbarie del fascismo, sotto qualsiasi forma. La nostra Costituzione è antifascista e noi con essa