Gli eredi del Pci sposano il capitalismo nella sua variante liberista e globalista, proprio quando aggrava le diseguaglianze e rapina le risorse naturali
Un’Italia conservatrice e reazionaria coesiste da sempre con un’Italia democratica e di sinistra. La contrapposizione destra-sinistra è un tratto peculiare della nostra storia. Vale la pena tuttavia riflettere su come sia stato possibile che la sinistra abbia consegnato, praticamente senza combattere, le chiavi del governo alla destra postfascista.
La fuga dalle urne di milioni di elettori e la sconfitta del Pd nelle ultime elezioni sono il risultato di una politica che da molto tempo ignora le sofferenze delle fasce deboli, la rabbia della piccola borghesia, l’insicurezza del ceto medio. Da quando Elly Schlein ha cominciato a parlare di disuguaglianza, precariato, diritti, ambiente, pace, si respira aria nuova. Tuttavia è bene dirci con franchezza che le parole non bastano a dare la sveglia a un partito che ha perso la connessione sociale, prima che sentimentale, con il suo popolo. E non basta affidare alla nuova leader il compito di ricostruire una prospettiva politica e strategica. Senza uno sforzo eccezionale e collettivo non sarà possibile riannodare i fili interrotti con il movimento e con il paese.
Si sente dire spesso che l’impasse della sinistra derivi dalla forza dirompente con cui il pensiero liberista si è imposto a partire dagli anni ottanta del secolo scorso. Non si sottolinea abbastanza, invece, che è stato l’arretramento ideale e politico della sinistra a rendere particolarmente devastante l’impatto delle politiche liberiste sui rapporti sociali e di potere. A un certo punto, per gli epigoni del Pci, il capitalismo diventa il sistema economico par excellence, smette di essere una realtà sociale «storicamente determinata», quindi modificabile. «Abbiamo una banca!», l’annuncio di Piero Fassino, suggella bene questo passaggio, svela il taglio netto con il proprio passato, l’adesione ad una visione del mondo e della società che non ci appartiene.
E’ calato il sipario su una ricca elaborazione culturale e politica – dei comunisti e dei socialisti, ma anche dei cattolici democratici – che aveva portato alle grandi riforme degli anni Sessanta e Settanta: la scuola media unica e obbligatoria, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, il servizio sanitario nazionale, l’edilizia residenziale pubblica, la riforma fiscale e, ancora, lo statuto dei lavoratori, il nuovo diritto di famiglia, l’aborto, il divorzio, e altro. Riforme vere, che rispondevano a bisogni reali e, in alcuni casi, sperimentavano l’ introduzione di «elementi di socialismo» nel corpo stesso del capitalismo.
L’aspetto paradossale della vicenda è che la conversione degli eredi del Pci avviene negli stessi anni in cui i processi di globalizzazione avanzano in modo impetuoso e il capitalismo, nella sua variante liberista e globalista, aggrava le diseguaglianze sociali, accelera la rapina delle risorse naturali e la crisi climatica, travolge ogni cosa, imponendo il culto della crescita infinita.
Così, nel momento cruciale dello scontro, gli strati popolari restano privi di un’efficace difesa, esposti allo sfruttamento, alle logiche alienanti del capitale e a tecniche sempre più sofisticate di seduzione e manipolazione delle coscienze. La sinistra alza bandiera bianca, non contrasta il peggioramento delle condizioni materiali delle fasce deboli e il diffondersi di forme esasperate di individualismo e di consumismo. Assiste passivamente al configurarsi di una società neo-feudale, modellata sulle differenze di nascita e sulla consistenza patrimoniale dei vari gruppi sociali (moderne caste), dominata da una aristocrazia economica mille volte più ricca e potente di quella esistente ai tempi dell’Ancien Régime. L’affermazione della narrazione populista e sovranista trova terreno fertile nell’indebolimento della partecipazione democratica e nelle assurde e incomprensibili divisioni tra le forze di sinistra.
A questo punto, di fronte ad una destra che fa della chiusura nazionalista e della xenofobia il suo programma di governo, è necessario rimettere in pista il partito, fargli giocare un ruolo autonomo e unitario, ridare senso alle lotte sociali e politiche. Il conflitto è l’unica risposta possibile, è l’arma più efficace per respingere l’offensiva reazionaria ed affermare una politica che coniughi transizione ecologica ed equa redistribuzione della ricchezza.
L’identità di sinistra si ricostruisce tenendo insieme prospettiva e quotidianità, agendo giorno dopo giorno per la «decrescita di tutto ciò che inquina e distrugge e la crescita di tutto ciò che salvaguarda e rigenera» (E. Morin, Svegliamoci!, Mimesis, 2022, pag.46). Il Pd, in particolare, sarà giudicato da come, d’ora in poi, sarà in grado di affermare una diversa idea di lavoro, di ambiente, di giustizia. E da come segnerà una presenza non episodica nelle periferie degradate, sul problema del disagio abitativo e dell’assenza di servizi essenziali.
Essere socialisti ed ecologisti nel terzo millennio significa portare avanti una battaglia politica e culturale contro l’illusione che possa esserci uno sviluppo illimitato in un mondo con risorse naturali limitate ed agire di conseguenza