AUTONOMIA. Il ministro Calderoli cala un asso sul tavolo dell’autonomia differenziata con il Clep (Comitato per i livelli essenziali delle prestazioni) in cui spiccano non pochi nomi prestigiosi e di indiscussa […]
Il ministro Calderoli cala un asso sul tavolo dell’autonomia differenziata con il Clep (Comitato per i livelli essenziali delle prestazioni) in cui spiccano non pochi nomi prestigiosi e di indiscussa competenza. È una iniziativa importante nella strategia del ministro, che definisce il Clep la sua mini-costituente. È grande l’entusiasmo nel loggione veneto.
Il ministro ha giocato una carta che rende ancora più difficile a Giorgia Meloni prendere le distanze, laddove ne avesse l’intenzione o la forza. È ormai evidente che l’autonomia è la sola partita davvero aperta per le riforme. Al tempo stesso, il Clep ribadisce l’emarginazione del parlamento, che sui livelli essenziali non tocca letteralmente palla.
Naturalmente una valutazione del Clep non può limitarsi al prestigio dei nomi. Il dubbio viene sulla funzione, essenzialmente perché sui Lep cadono scelte che più politiche non potrebbero essere. Già individuare le materie Lep e non-Lep è un primo discrimine che ha ben poco di tecnico, soprattutto considerando che nelle (molte) materie non-Lep la frammentazione autonomistica potrebbe partire immediatamente. Per non dire poi che nelle materie Lep bisognerà stabilire quali ambiti vedranno l’applicazione di livelli essenziali. Ad esempio, se i Lep della scuola debbano estendersi a coprire, e in che misura, laboratori, palestre, refezione e tempo pieno è forse questione tecnica? Ovviamente no. E lo è forse l’interazione tra i Lep e la sanità territoriale o la infrastrutturazione ospedaliera? No.
A ben vedere, la questione di principio in campo con l’autonomia differenziata e i Lep è quanta eguaglianza una parte del paese ritiene necessaria per l’unità, e per contro quanta diseguaglianza un’altra parte del paese ritiene un male necessario per consentire maggiore competitività in ambito europeo e globale. Non c’è proprio nulla di tecnico, è scontro politico tra interessi divergenti e persino contrapposti sulla destinazione delle risorse e sulla formulazione e implementazione di politiche pubbliche. Se vince la strategia Calderoli la Repubblica una e indivisibile che abbiamo conosciuto sarà – con o senza la copertura tecnica del Clep – un ricordo del passato. I diritti avranno letture in chiave di territorio. Le politiche pubbliche nazionali volte all’eguaglianza, alla riduzione dei divari, alla coesione sociale e territoriale saranno impedite o ridotte.
Cosa possiamo aspettarci dal Clep? A voler essere onesti, un non liquet, con richiesta che siano altri a decidere, in primis il parlamento. Calderoli è stato abile. Laddove dovrebbero le opposizioni far emergere contraddizioni nello schieramento di maggioranza, il ministro punta a un effetto esattamente opposto. Il senso dell’iniziativa è ovvio. E può meravigliare che a destra non sia accolto da unanimi applausi. Maurizio Belpietro (La Verità, 28 marzo) attacca vedendo tra i membri Clep «rodati esperti dello status quo», e chiedendo come sia possibile fare la rivoluzione «con gente che per decenni ha rappresentato la conservazione». Parole ingenerose. Il tecnico in carriera non si valuta per il merito di quel che dice, ma per come decide cosa dire. E la tecnica di fondo che adotta è quella del «ni», in rapporto all’oggetto dell’expertise che il politico gli richiede.
Il tecnico in carriera non dirà mai un sì, senza se e senza ma, sulla posizione del politico. Se così fosse sarebbe inutile per il politico chiamarlo in causa, e/o dannoso per l’esperto, assunto a foglia di fico del volere altrui. Né dirà mai un no, senza e senza ma, perché in tal caso il politico metterebbe il nemico in casa. Il «ni» consentirà al tecnico di individuare tra l’essere e il dover essere una distanza colmabile, ovviamente con il sapere che l’esperto stesso mette in campo.
Alternative? Sì, quando l’esperto non si considera in carriera, ed è consapevole di poter esprimere convinzioni vere, univoche, radicate. Ma allora non è utile al politico chiamarlo in causa. Anzi, è potenzialmente pericoloso, perché imprevedibile. Di questo possiamo assumere che Calderoli sia bene consapevole. L’analisi di Belpietro è troppo semplicistica per poter valutare a fondo la mossa del ministro. La griglia da applicare al Clep è più complessa.
Certo, può suscitare un sussulto di sorpresa che personaggi ragionevolmente immuni alle lusinghe di una facile notorietà per l’età, la gloria e le medaglie già conquistate consentano ad essere i necrofori della Repubblica una e indivisibile