Il voto dei “passanti delle primarie” ha travolto il voto degli iscritti del PD, ribaltandolo. È stato uno schiaffone rivolto non solo alle classi dirigenti del Partito Democratico ma anche alla maggioranza dei suoi iscritti e dei suoi militanti, che la scorsa settimana avevano votato Bonaccini per il 53% (18 punti di distacco dalla Schlein).
Uno dei primi effetti è che il partito avrà una direzione disallineata rispetto all’assemblea nazionale, anche se la complementarietà fra Schlein e Bonaccini credo che sarà, alla prova dei fatti, maggiore di quanto molti immaginano. Lo abbiamo visto in concreto negli scorsi anni di “governo schleinaccini” in Emilia Romagna.
Per la verità è piuttosto bizzarro che un partito faccia scegliere il proprio segretario/la propria segretaria da chi non è iscritto e neppure vota PD alle elezioni, eppure è così. Ed è l’esito di un’idea di partito fluido di derivazione veltroniana e poi renziana che può riservare notevoli colpi di scena. Renzi ne approfittò nel 2013 trionfando alle primarie “aperte” con 1.895.332 voti corrispondenti al 67,55% (e poi di nuovo alle primarie del 2017), oggi vince Elly Schlein con circa 700 mila voti, il 53,8%.
Renzi riuscì a farsi votare alle primarie da un bel pezzo di mondo di “destra”, fino a quel momento estraneo al PD, oggi Elly Schlein è riuscita a farsi votare alle primarie da un pezzo di “centrosinistra”, esterno al PD anche se perlopiù contiguo: sto parlando essenzialmente delle varie “liste coraggiose” (una l’abbiamo avuta anche alle regionali in Toscana) e di pezzi dell’alleanza Bonelli-Fratoianni con relativi simpatizzanti. Un’area che in termini assoluti è piccola, attorno al 3% dei voti alle elezioni nazionali, ma che, se mobilitata in elezioni primarie, fa la differenza. E stavolta questa piccola area si è mobilitata diligentemente - spesso giustificando il proprio voto alla Schlein con motivi “tattici”, “machiavellici” etc - in elezioni primarie che pur hanno scaldato poco il cuore, suscitando scarsa attenzione anche sui vari social network. Solo dopo la vittoria di Elly Schlein le bacheche si sono improvvisamente e comprensibilmente ravvivate, dopo mesi in cui sembrava che questa vicenda non importasse sostanzialmente a nessuno.
Chi fa notare la costante e inesorabile emorragia di voto alle primarie del PD mette in evidenza un dato incontrovertibile: 3,5 milioni di votanti nel 2007; 3,1 milioni nel 2009; 2,8 milioni nel 2013; 1,8 milioni nel 2017; 1,6 milioni nel 2019; 1,3 milioni nel 2023. Ma è altrettanto incontrovertibile che si tratta di una tendenza generale - si pensi al crescente astensionismo alle diverse tornate elettorali - e che comunque, in questa nostra epoca, mobilitare oltre un milione di persone non è cosa da poco.
Il mio punto di vista l’ho ripetuto spesso in questi anni, credo che il PD sia irriformabile e che solo la sua ulteriore decomposizione possa aprire qualche prospettiva nuova. Non so se il PD farà nei prossimi anni la fine del Partito Socialista francese o del Pasok greco, né so chi, fra Schlein e Bonaccini, possa (pur senza intenzione) favorire maggiormente questa ulteriore decomposizione. Vedo che però in Italia, al momento, non c’è purtroppo nessuna France insoumise (e nessuna Syriza) all’orizzonte. Nè è chiaro se il M5S consoliderà o meno la “svolta socialdemocratica” degli ultimi tempi. Vedremo.
Intanto, come si suol dire in questi casi, auguro a Elly Schlein buon lavoro. So che non farà peggio di Bonaccini ma spero anche che faccia molto, molto meglio di quanto ha fatto in Emilia Romagna da vicepresidente della Regione, dove, alla prova delle concrete politiche sociali e ambientali sue e della sua giunta, ha dato pessima prova. Ma sopratutto spero che rispetto alla questione cruciale di questi terribili tempi - la guerra, le guerre - possa trovare finalmente parole non ambigue, distanziandosi non tanto da Bonaccini ma dal mainstream filobellico al quale è stata fino ad ora allineata.