COMMENTI. La destra grida contro la «patrimoniale sulla casa» respingendo le nuove normative dell’Europa, perché non crede ad una politica che contrasti il cambiamento climatico
Dichiarando che la «casa è sacra», tutta la destra di governo si è schierata contro la proposta di direttiva europea che prevede regole più stringenti sul risparmio energetico delle abitazioni. Siamo di fronte ad una questione molto seria.
Gli immobili residenziali in Europa dipendono ancora in gran parte da fonti fossili, sono responsabili del 30% per cento del consumo energetico e dell’emissione di gas nocivi. In Italia poi il 75% degli edifici sono vetusti, dispendiosi e inefficienti e le bollette – a prescindere dagli aumenti attuali – incidono parecchio sul reddito delle famiglie. Ebbene, mentre l’Ue spinge perché le nostre case siano più efficienti e confortevoli, meno care e meno inquinanti, mentre invita tutti i paesi a collegare la questione dell’abitare ai processi di innovazione tecnologica e di riconversione energetica, il governo italiano risponde chiudendosi a riccio in difesa dello status quo, con le sue distorsioni e le sue palesi ingiustizie.
La destra grida contro la «patrimoniale sulla casa» dell’Europa perché non crede ad una politica che contrasti efficacemente il cambiamento climatico. Va bene il Superbonus come misura di sostegno al settore dell’edilizia e alla crescita del Pil nel 2021 e 2022, non va più bene quando si tratta di renderlo una misura strutturale dentro una visione di cambiamento profondo dei modelli di produzione e di consumo. Il 110 per cento rimane (sia pure ridotto al 90 per cento a partire da quest’anno) unicamente come misura anticiclica. Nessuna illuminazione sulla via di Damasco da parte di una destra che punta le sue carte a fare dell’Italia l’hub europeo del gas, come dimostrano gli accordi con l’Algeria, l’Egitto e altri paesi del Nord Africa e del Medio-Oriente. Continuità, dunque, nell’uso delle fonti fossili e mantenimento (temporaneo) del Superbonus senza correggerne però vuoti normativi e modalità di gestione. A questi limiti e alla mancanza di controlli si deve la sensibile impennata dei prezzi dei materiali per l’edilizia, causa non ultima del maggiore tasso d’inflazione dell’Italia rispetto agli altri paesi europei.
L’ufficio parlamentare di bilancio, inoltre, ha quantificato che, fino ad oggi, ben 40 miliardi sono stati utilizzati per la ristrutturazione di meno del 2 per cento degli immobili residenziali, riconducibili in massima parte a famiglie di reddito medio-alto. Lo Stato sta finanziando con i soldi di tutti i contribuenti l’efficientamento energetico di case e ville di cittadini che avrebbero potuto provvedere di tasca propria.
Una minoranza privilegiata di italiani vede così incrementare il valore di mercato di prime e seconde case a dispetto di milioni di famiglie che vivono in case popolari e in periferie lasciate in condizioni di degrado e di abbandono. Altro che aiuto ai poveri, di cui si vanta Giorgia Meloni! E l’alzata di scudi contro l’Europa, in questo contesto, appare demagogica e strumentale.
Questa vicenda racconta bene sia l’iniquità fiscale del nostro paese sia la difficoltà della sinistra di contrastare scelte che di fatto accollano sui più deboli perfino i costi della «transizione ecologica» delle abitazioni dei più ricchi. L’Europa, con la direttiva sul risparmio energetico degli edifici, residenziali e non, indica con chiarezza la necessità del passaggio alle fonti rinnovabili. Si tratta ora di correggere le cose che non vanno, a partire dal ruolo delle amministrazioni comunali, finora tenute ai margini. Gli enti locali devono diventare protagonisti della svolta, definire tempi e priorità degli interventi, favorire i condomini di periferia e le case popolari rispetto a ville e case unifamiliari, sostituire la programmazione alla logica degli interventi a pioggia.
Le risorse ci sono. Basta cercarle nel sistema abnorme e costoso di regalie fiscali – sussidi, sconti, agevolazioni – rivolto a particolari categorie e segmenti sociali. Un sistema iniquo e insostenibile che, invece di risolvere i problemi, monetizza tutto. Bonus al posto di diritti. Le biblioteche sono chiuse e a corto di personale, diamo un bonus a insegnanti e a diciottenni; il trasporto pubblico è al collasso e le piste ciclabili sono insufficienti, provvediamo con un bonus auto e monopattino; i centri di salute mentale sono sottodimensionati, portiamo il bonus psicologo da 500 a 1500 euro; abbiamo perfino il bonus acqua potabile e non si fa nulla per investire in una rete idrica “colabrodo”, e via continuando. Avevamo il bonus affitti per le famiglie a basso reddito, ma ora che gli affitti subiscono aumenti del 25 per cento, è sparito dai radar. Infine, il primo dei diritti, quello al lavoro, è negato e ai disoccupati e lavoratori poveri viene tolto il reddito di cittadinanza. Nessuna spending review è riuscita finora a scalfire un sistema che, per rincorrere interessi particolari, distrugge la progressività fiscale, smantella lo stato sociale e danneggia l’ambiente