Fatturati in aumento, oltre un miliardo di utenti attivi. Pompili: "Puntano ad acquisire i nostri dati e a dare un'immagine positiva di Pechino"
Nel 2022 il patrimonio netto di Tik Tok è stato stimato in oltre 100 miliardi di dollari: per avere un metro di paragone, il pil di Cuba è di 107,4 miliardi. Parliamo di un social che ha oltre un miliardo di utenti attivi a livello globale. Non è esente da licenziamenti (sono scattati nell’estate in sordina, ma hanno una portata del tutto minore rispetto a quelli di Twitter e Facebook), ma ha fatturati e crescita senza eguali. In Europa ha registrato un aumento di quasi sei volte del suo fatturato: nel 2020 era di 172 milioni di dollari, nel 2021 è schizzato a 990 milioni.
Cosa differenzia Tik Tok dagli altri social?
L’azienda proprietaria non ha sede negli Stati Uniti o in qualche paradiso fiscale, ma in Cina. ByteDance e il suo amministratore delegato Zhang Yiming (39 anni, un patrimonio netto di 49,5 miliardi di dollari) rispondono al governo di Pechino. Una delle più grandi piattaforme globali d'intrattenimento, informazione e acquisizione dati, è nelle mani di un sistema non democratico e ha ingerenze pesanti dal partito unico.
L’intervista
Per capire meglio Tik Tok e i rapporti con il governo cinese abbiamo consultato Giulia Pompili. Giornalista del Foglio dal 2010, si occupa delle vicende che attraversano l’Asia orientale, soprattutto Giappone e Coree, scrivendo periodicamente anche di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo. È autrice del libro Sotto lo stesso cielo edito da Mondadori. È una delle maggiori esperte in Italia sulla politica del governo di Pechino.
Come si spiega il successo del social cinese?
Incredibilmente è stata la prima azienda tech cinese ad avere un successo anche in Occidente, il suo modello funziona e attrae utenti ogni giorno. L’algoritmo è molto libero dal punto di vista di cosa vuole l’utente, che avrà un senso di assoluta causalità: se ti piacciono i gattini verrai inondato di video con i gattini, mentre i social occidentali si basano sul consumo, dunque devono metterti la pubblicità per l’acquisto dei prodotti. Tik Tok è quindi molto più commercializzabile rispetto alla concorrenza.
E da un punto di vista sociale?
Non arriveremo mai a una risposta definitiva su questo tema, perché le mode dei giovani sono volubili. È possibile pensare che la storia dei social sia fatta a cicli, quindi Tik Tok si è inserito in una congiuntura positiva per il suo modello di business. La geopolitica qui c’entra poco. Il problema è che Tik Tok è l’unico social che non possiamo controllare, cui non possiamo dare regole come gli altri.
È vero che ci sono differenze tra la versione per la Cina e quella per il resto del mondo? Sembra che la versione occidentale contribuisca ad abbassare il livello culturale degli utenti, mentre in quella cinese circolano più contenuti di qualità.
È così. L’obiettivo primario dell’azienda si declina secondo il Paese. All’interno dei confini della Repubblica popolare cinese si muove in un regime strettissimo di controllo e censura. Per il presidente Xi Jinping tutto ciò che riguarda internet deve essere al servizio dell’edificazione della società socialista cinese e del suo nazionalismo. Tik Tok, per sopravvivere, deve fare esattamente ciò che vuole il partito unico, essere un suo strumento.
E fuori dai confini cinesi?
Tik Tok ha studiato perfettamente il target di riferimento occidentale e ha usato tutte le nostre debolezze. L’obiettivo primario delle aziende tech cinesi è la raccolta dati: più persone si iscrivono, più l’obiettivo è centrato. Il potere oggi sono i big data. Tik Tok non ha alcuna funzione di filtro moralista e di controllo dell’informazione come ad esempio vuole fare, o dice di voler fare, Elon Musk con Twitter.
Parliamo della censura. È diventato famoso il caso della ragazza americana Feroza Aziz che ha visto bloccare il proprio account dopo aver pubblicato un video in cui denunciava la deportazione dei musulmani cinesi nei campi di detenzione. E non parliamo dei contenuti degli attivisti bloccati sulle proteste a Hong Kong. Tik Tok è quindi una “yes company” al servizio di Pechino?
Sì, è così, come lo è per tutte le aziende cinesi. Il presidente Xi Jinping ha l’ambizione di voler controllare molto più dei suoi predecessori tutte le aziende che fanno soldi all’estero. Un punto diventato evidente quando ha approvato la regolamentazione del colosso del commercio online Ali Baba, visto che l’azienda del miliardario Jack Ma stava diventando troppo influente e potente. Zhang Yiming, invece, ha capito che per far crescere Tik Tok doveva adeguarsi, ad esempio non mostrando elementi scomodi al governo. Tik Tok all’estero non è così controllato come l’equivalente cinese, ma il controllo ovviamente c’è, non possiamo pensare che sia totalmente libero.
Analizzando i profili LinkedIn dei dipendenti dell'azienda si scopre che la maggior parte di loro ha lavorato per enti governativi e media controllati dallo Stato. Il peso del governo sull'azienda arriva fino a questo punto?
Non è solo una questione di mettere i propri uomini dentro le aziende, è vero anche il contrario. Noi pensiamo al Partito comunista cinese come a una macchina perfetta, ma non è cosi: le direttive e le regole cambiano continuamente e vanno spesso interpretate. Chi meglio può capirle se non un ex quadro o dirigente del partito?
Il tema, allora, sembra essere l’autocensura…
Molte compagnie non sanno come interpretare i voleri della leadership burocratica, nelle aziende cinesi mancano i corpi intermedi che si prendono responsabilità. Le regole sono sempre di più, si soprappongono, spesso sono confuse, costringendo così le aziende ad affidarsi a chi sa interpretare la burocrazia. Il governo certamente ti impone di mettere sue persone di fiducia nei ruoli apicali, ma è anche l’azienda che cerca personale tra i gangli della sicurezza e del governo proprio perché queste persone sanno come funzionano la censura e la macchina di controllo del partito unico.
Alcuni Paesi hanno bannato o limitato Tik Tok, ma non l'Italia. Cosa dobbiamo fare noi e l'Europa per evitare le trappole della disinformazione e dell'ingerenza di potenze straniere nel nostro mercato mediatico?
Siamo un poco in ritardo. L’Unione Europea a livello generale, non solo per Tik Tok, è in ritardo nel valutare le criticità delle grandi aziende che lavorano dentro i propri confini. La parte cinese è stata molto intelligente nell’inserirsi in un contesto in cui le regole della privacy vengono tutelate in maniera non proprio chiara. I dati raccolti dalle aziende cinesi vengono spediti a Pechino: questo, ad esempio, non è ancora stato affrontato dai legislatori europei. Sicuramente l’approccio indiano è molto più facile, nato più per una ragione geopolitica che tecnica: in India Tik Tok è censurato e definito una minaccia per lo Stato.