Perché la scommessa del governo Meloni sul gas sovrano è sbagliata e pericolosa.
Il governo ha deciso di dare seguito ad una “novità” da poco approvata dal Consiglio dei ministri, inserita nella bozza del DL Aiuti Quater e la cui impostazione era già stata predisposta dall’ex ministro Roberto Cingolani – ora nuovo consigliere energetico della premier Giorgia Meloni.
Parliamo della decisione di sbloccare le trivellazioni di gas metano nei mari italiani.
L’obiettivo è consentire alle società petrolifere di estrarre metano da una porzione di fondale nell’Adriatico settentrionale, di fronte a Veneto e Romagna, e di sfruttare pozzi già esistenti a largo della Sicilia meridionale.
Lo sfruttamento deve avvenire a oltre 9 miglia dalla costa, per giacimenti con un potenziale sopra i 500 milioni di metri cubi l’anno e “previa presentazione di analisi tecnico-scientifiche e programmi dettagliati di monitoraggio e verifica dell’assenza di effetti significativi di subsidenza sulle linee di costa”. Continuerebbe invece a rimanere interdetta l’area di fronte a Venezia.
È importante notare che il rilascio dei nuovi permessi e il maggiore sfruttamento di alcuni già esistenti sono subordinati alla partecipazione dei produttori ad un particolare meccanismo finanziario messo in piedi dal governo, coordinato dal Gestore dei servizi energetici (Gse) e incentrato su prezzi amministrati (calmierati) ottenuti tramite la sottoscrizione di contratti derivati, la cui natura cercheremo di spiegare. In breve: no price-cap, no concessioni, no trivellazioni, no party.
Il Gse sarebbe quindi lo snodo di un sistema di contratti di durata massima decennale per l’acquisto di diritti sul gas a un prezzo stabilito per decreto, definito applicando una riduzione percentuale, anche dinamica, ai prezzi giornalieri del punto di scambio virtuale (PSV) – che sarebbe l’indice di riferimento per l’Italia, alternativo al noto TTF olandese – a livelli che devono comunque rimanere compresi fra 50 e 100 euro per MWh.
L’obiettivo è che i titolari di concessioni mettano a disposizione del Gse, già da gennaio e fino al 2024, un quantitativo di diritti sul gas corrispondente ad almeno il 75% dei volumi produttivi attesi dagli investimenti.
Il Gse, a sua volta, aggiudicherà i diritti sul gas nella sua disponibilità ai clienti finali energivori. Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha precisato che “potenzialmente si stimano 15 miliardi di metri cubi sfruttabili nell’arco di 10 anni dai concessionari”.
Fin qui, tutto bene, almeno dal punto di vista del metodo, anche se il merito della decisione è altamente discutibile: il governo vuole aumentare la produzione italiana di gas e opportunamente mette mano alle concessioni di sfruttamento del territorio, nel pieno delle sue prerogative. Ma da questo punto in poi il governo decide di strafare.
Un gioco d’azzardo pericoloso
Oltre agli aspetti climatici e ambientali, il potenziamento delle estrazioni di gas non è una buona idea anche perché dietro le promesse di gas sovrano con prezzi amministrati alle patrie industrie si nasconde in realtà un gioco d’azzardo pericoloso, in cui lo Stato, a seconda di come si legge un testo non del tutto chiaro, si mette a fare il trader energetico o il croupier, senza averne il mandato, le competenze, la tempistica o la struttura organizzativa.
Il governo vuole cioè fissare una fascia di prezzo tramite l’imposizione di un meccanismo di copertura del rischio finanziario legato alle fluttuazioni delle quotazioni del gas, imponendo maldestramente l’utilizzo di quegli stessi contratti derivati che spesso la politica non ha esitato a criticare come strumenti speculativi, sbagliandosi grossolanamente sia nel criticarli quando usati da fantomatici “speculatori”, sia nel volersene servire ora direttamente.
Se il governo vuole ampliare la portata delle concessioni di sfruttamento di gas in Italia è libero di farlo, per quanto anacronistica e contraddittoria sia questa decisione. Ma mettere in piedi un meccanismo di trading energetico che ruota attorno al Gse è tutto un altro paio di maniche.
Il dubbio interpretativo del testo di legge riguarda appunto il ruolo del Gse. La lettura forse più probabile è quella secondo cui il Gse sia una controparte vera e propria dei contratti derivati in questione. In questo caso, lo Stato si metterebbe a fare sostanzialmente il trader energetico. Un’altra possibile, ma meno probabile, lettura è che il Gestore svolga sostanzialmente un ruolo di smistamento dei contratti derivati. In questo caso, lo Stato si metterebbe a fare il croupier, mettendo idealmente in capo ai privati tutto il rischio e la responsabilità di questi contratti.
Stato-trader
Nell’ipotesi di uno Stato-trader, la bozza di decreto Aiuti Quater prevede che il “Il Gruppo Gse stipula contratti di acquisto di diritti di lungo termine sul gas… in forma di contratti finanziari per differenza rispetto al PSV, di durata massima pari a dieci anni“.
Come accennato, in questo caso, il Gse sarebbe una controparte vera e propria nei contratti sottoscritti con i produttori. Tali acquisti sarebbero stipulati appunto nella forma dei cosiddetti “contratti per differenza”. Adattati ad un contesto di prezzi calmierati, questi accordi prevedono che, a seconda che la differenza fra prezzo di mercato e prezzo amministrato sia a favore dell’acquirente o del venditore, la controparte favorita pagherà la differenza di prezzo alla controparte sfavorita, in modo da riequilibrare la transazione al livello di prezzo amministrato deciso in partenza.
Se, cioè, al momento della chiusura del contratto il prezzo di mercato fosse inferiore al prezzo amministrato, l’acquirente dovrà pagare al venditore la differenza. Se, invece, il prezzo di mercato alla chiusura della transazione fosse superiore al prezzo amministrato, il venditore pagherà all’acquirente la differenza.
Il gioco funziona per l’acquirente fin tanto che il prezzo di mercato è superiore a quello amministrato. Si tratta sostanzialmente di una scommessa da parte del governo sul rialzo dei prezzi.
In linea generale, il gioco funziona a prescindere dall’andamento del singolo contratto, se questi contratti di copertura del rischio rientrano in un più vasto portafoglio di derivati, in cui ad ogni posizione rialzista corrisponde una posizione ribassista e viceversa, come è prudente che sia per una gestione equilibrata e oculata del rischio.
Ma cosa succede se, invece di un trader professionale con un portafoglio variegato di derivati, è lo Stato che si mette a fare trading energetico, puntando tutte le sue fiches su un’unica scommessa rialzista su un unico prodotto?
Nella fase attuale potrà sembrare una verità scontata che i prezzi di mercato del gas siano destinati a rimanere per molto tempo a livelli più alti rispetto quelli decisi per decreto. In realtà, non è per niente scontato che i prezzi di mercato del gas rimarranno sopra i prezzi amministrati per dieci anni o per cinque.
Tanto per fare un esempio, il prezzo del gas del contratto per consegna nel 2026 sul TTF (la famigerata piazza olandese teoricamente in mano agli “speculatori” e in cui spesso le quotazioni sono superiori al PSV) è attualmente di 41 euro al MWh. Quelli per il 2027 e 2028 sono attorno a 34 euro. Da notare anche come gli impegni di decarbonizzazione, con la prevista diminuzione della domanda di gas, prefigurino allo stesso modo un calo dei prezzi nel medio termine.
Cosa succede, dunque, se fra qualche anno il prezzo di mercato scendesse sotto la soglia minima dei 50 €/MWh calmierarti dal governo? Succede che gli energivori incastrati nel meccanismo di derivati finanziari creato dal governo-trader pagheranno il gas più di quanto non dovrebbero. Oppure, che il Gse, lo Stato, i contribuenti si ritroveranno sul groppone gas sopra-pagato, sotto forma di diritti sul gas, che gli energivori non vorranno prendere in consegna e che andranno ad aumentare le passività pubbliche.
Rimane da capire se gli energivori, una volta acquisiti i diritti sul gas nella disponibilità del Gse con una non meglio precisata procedura d’asta, possano o meno tirarsi indietro. Tali diritti diventerebbero cioè obblighi di acquisto a quei prezzi oppure gli aggiudicatari potrebbero comunque rinunciare ad esercitare quei diritti? Non si sa ancora.
Politicamente sarebbe un suicidio per il governo obbligare gli energivori a comprare gas a prezzi superiori a quelli di mercato, anche se legalmente lo Stato potrebbe in teoria cercare di far valere i risultati delle aste in modo coercitivo.
Stato-croupier
Nel caso di un Gse-croupier, anche solo passare di mano le carte, cioè smistare i contratti, promuovere forzatamente queste operazioni, vincolando i nuovi permessi di estrazione alla partecipazione al sistema messo in piedi dal governo crea un incentivo perverso e mistificante.
Perverso perché stimola una produzione di gas addizionale molto marginale, più costoso da produrre, che farà poco per aumentare l’offerta e che invece danneggerà gli sforzi e la reputazione di decarbonizzazione italiani.
Mistificante perché tutto basato su meccanismi finanziari destinati a sviare l’attenzione dal fatto che i presunti vantaggi di questa operazione hanno un’altra faccia della medaglia, e cioè che l’intero rischio e responsabilità sono scaricati sulle spalle dei produttori e dei privati, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, anche in questo caso, lo Stato potrebbe doversi accollare, direttamente o indirettamente, le passività private generate dal suo meccanismo.
La bozza del DL Aiuti Quater indica che il meccanismo finanziario in questione funzionerà “senza nuovi o maggiori oneri per il Gruppo Gse”. Questa frase è la pietra angolare su cui poggia per intero l’ipotesi dello Stato-croupier, cioè lo scenario di uno Stato che non intende rimetterci in questa operazione.
È una pietra angolare unica e un po’ esile, però, visto che, altrettanto espressamente e in più passaggi, la bozza di decreto dice che: “Il Gruppo Gse stipula contratti di acquisto di diritti di lungo termine sul gas… in forma di contratti finanziari per differenza rispetto al PSV” e “i diritti offerti sono aggiudicati all’esito di procedure di assegnazione, secondo criteri di riparto pro quota. In esito a tali procedure, il Gruppo Gse stipula con ciascun cliente finale assegnatario un contratto finanziario per differenza per i diritti aggiudicati”.
Questi ultimi due passaggi potrebbero essere in fondamentale contraddizione con quello secondo cui tutto deve avvenire “senza nuovi o maggiori oneri per il Gruppo Gse”. Se il Gse è controparte dei produttori di gas prima e degli energivori poi, come traspare dal testo, sembra difficile e imprudente escludere a priori gli scenari e le eventuali passività descritti sopra, in realtà molto probabili. Se lo Stato crede cioè di poter fare semplicemente da croupier e che la cassa del casinò non perda mai, rischia di sbagliarsi di grosso.
In questo caso, la perdita, il pasticcio, diventano molto più probabili perché la scommessa è fatta per un solo gioco, su un solo tavolo, con regole non chiare, da un croupier improvvisato, che a differenza di un croupier di casinò è anche politicamente esposto e responsabile.
Il fatto che in un’operazione di copertura finanziaria del rischio ci sia una parte che ci perde e una che ci guadagna è del tutto normale. Quello che non è normale è che sia lo Stato a entrare direttamente in questi meccanismi di mercato.
È vero che nessuno obbliga i produttori di gas o gli energivori a aderire a questo meccanismo, ma vincolare i nuovi permessi di estrazione alla partecipazione al sistema di derivati messo in piedi dal governo rischia di essere alla fine un gioco delle tre carte, dove però rischiano di perderci tutti, Stato compreso.
Sarebbe opportuno quindi che lo Stato lasciasse i derivati a chi si occupa per mestiere di questi strumenti e li usa giornalmente per fissare i prezzi di molteplici materie prime a varie scadenze; tutte cose che i trader sanno fare molto meglio del governo o del Gse, che stanno già facendo e che hanno contribuito a ridurre nelle ultime settimane i prezzi del gas sui mercati europei. Tutto ciò senza bisogno di interventi a gamba tesa di governi con la fissa del price cap, anche quando si sa che funzionano poco e male o non funzionano per niente.
Narrazioni
Il governo italiano avrebbe potuto ottenere più efficientemente lo stesso risultato di aumento dell’offerta limitandosi semplicemente ad allargare le maglie delle estrazioni nazionali, o facilitando ulteriori acquisti di gas sul mercato internazionale, senza dover riattivare giacimenti italiani precedentemente chiusi.
Ma la riapertura di vecchi pozzi e le concessioni per quelli nuovi hanno in realtà uno scopo diverso e più importante per il governo, e cioè legittimare la narrazione di un esecutivo che si rimbocca subito le maniche, prendendo il toro energetico per le corna, difendendo l’interesse nazionale anche a mani nude se necessario.
Questo è il film che probabilmente la premier Meloni si è fatta e a cui magari crede anche sinceramente. La realtà rischia di essere più prosaica. Quello che probabilmente il governo Meloni dovrà fare è chiedere e ottenere dalle Camere l’autorizzazione ad uno scostamento di bilancio per coprire eventuali maggiori oneri che lo Stato potrebbe doversi accollare per questa operazione, pur mantenendo formalmente gli intenti di neutralità di bilancio “per il Gse”, che non vuol dire per i contribuenti italiani.
È molto probabile, quindi, che il governo finisca per aumentare non tanto la disponibilità di gas per gli energivori italiani, quanto l’indebitamento dello Stato per pagare una produzione di gas nazionale marginale e più costosa, che si sarebbe potuto evitare con importazioni meno dispendiose o limitandosi a favorire semplicemente l’aumento dell’offerta nazionale.
Come in un gioco di specchi o delle tre carte, sembra che una cosa ci sia e poi invece non c’è, è solo un’illusione ottica, e nel frattempo i soldi di tutti – energivori o contribuenti – potrebbero essere volati via.