CONFLITTO. Appello al governo di 45 ex diplomatici perché si faccia promotore in Europa di una forte iniziativa diplomatica per l’immediato cessate il fuoco e l’avvio di negoziati.
Il poster "This is the Enemy" foto Wikimedia Commons
Quante sono state in un decennio le occasioni perdute dalla diplomazia internazionale per evitare il fratricidio tra russi e ucraini? Tante. Con qualche sofferto compromesso la soluzione era a portata di mano. 1° neutralità protetta dell’Ucraina; 2° referendum nel Donbass sotto l’egida Oscee; 3° rinuncia alla Crimea (da Krusciov ceduta a Kiev senza ragione).
AL CONTRARIO si è preferita l’autodistruttiva pulsione a guerreggiare in un fratricidio – prima con la guerra civile tra Kiev e il Donbass, poi con la scellerata aggressione di Putin -, e ora le truppe sono impantanate in scontri d’usura, imboscate, cadaveri in putrefazione fra le rovine di città in rovina. Questa guerra d’attrito ha un sapore ottocentesco, sa di fango e sangue. Ma ora sta emergendo qualcosa che ci riporta al Medioevo.
Nel 1145 Bernardo di Chiaravalle predicò
la seconda crociata coniando un neologismo, il «malicidio»: «Il milite cristiano, uccidendo un malvagio, non commette omicidio bensì malicidio: è quindi un carnefice autorizzato da Cristo». E se fossero i crociati a morire? Risposta di san Bernardo: «Il cavaliere uccide e muore tranquillo. Se uccide lavora per il Cristo, se muore si salva». Così perirono «tranquilli» 15.000 militi, mandati allo sbaraglio dai due litigiosi sovrani della spedizione. Saputo che la crociata era finita malissimo, il gran teologo ne diede la colpa ai peccati dei combattenti e la Chiesa lo fece santo subito. Anche il Patriarca moscovita Kirill sarà santificato, adesso che proclama: «Morire al fronte lava tutti i peccati».
E lo stesso Putin potrebbe diventare san Vladimiro II° – dopo Vladimiro I°, fondatore della Rus’ cristiana – avendo garantito in caso di scontro nucleare: «Noi andremo in Cielo come martiri, mentre essi periranno senza aver avuto il tempo di pentirsi» («essi» sarebbero i capi in Occidente, accusati di «satanismo»).
POICHÉ I PEGGIORI misfatti sono quelli perpetrati nel nome di dio, aggrapparsi alla religione per sostenere le proprie ragioni apre la strada a conseguenze terrificanti quando si dispone di armi nucleari. Se lo chiedeva già il filosofo Günther Anders dopo Hiroshima e Nagasaki: l’umanità si è forse fatta sorpassare dalla sua potenza distruttiva? Basta un ordigno di pochi kiloton per rendere inabitabili vaste aree colpite dalla radioattività e cancellare – di colpo o dopo lunga agonia – l’esistenza di chi ci abita. Lascia sgomenti la disinvoltura con cui si sta giocando alla guerra attorno a Zaporizhja, la più grande centrale atomica d’Europa.
È LA QUARTA VOLTA nel dopoguerra che qualche «potente» si fa tentare dall’uso dell’arma atomica. La prima volta accadde nel 1951: il generale MacArthur, umiliato dalla ritirata dal Nord Corea, suggerì di ricorrere all’arma nucleare (e Truman dovette rimuoverlo). La seconda crisi è quella, nota a tutti, dei missili a Cuba nel 1962. Meno noto ma altrettanto inquietante è il caso Nixon: nel 1973, in pieno scandalo Watergate che lo avrebbe portato alle dimissioni, alla Casa bianca si percepì che il presidente stava perdendo il lume della ragione, tanto che i Segretari di Stato e della Difesa ordinarono ai custodi della «valigetta nucleare» di non obbedire a Nixon nel caso che… Oggi il pericolo proviene da Mosca. Gli alti comandi russi sono in subbuglio, e così profondamente avviliti che tra i «falchi» c’è chi sarebbe tentato di ordire un putsch che consenta «finalmente» di colpire l’Ucraina con qualche ordigno cosiddetto «tattico».
IL DILEMMA È ANGOSCIOSO: come persistere ad armare Kiev e nello stesso tempo offrire al Cremlino una via d’uscita accettabile? Ciò che chiedono i russi è anzitutto il rispetto dovuto a un grande Paese. Arduo concederlo a un governo simil-gangsteristico in alleanza con la Chiesa, ma le alternative sono peggiori: la brinkmanship, la politica del rischio nucleare calcolato, non fa che confermare il senso del grido di papa Francesco contro la «pazzia della guerra».
A quel grido si sono uniti 45 diplomatici italiani, non più in carriera ma tutti esperti di mediazioni internazionali: hanno lanciato un «appello al governo italiano affinché si faccia promotore in Europa di una forte iniziativa diplomatica mirante all’immediato cessate il fuoco e all’avvio di negoziati tra le parti».
Questi firmatari confidano che da ogni angolo d’Europa si alzino voci altrettanto se non più autorevoli ancora. E meno male che in questi giorni viene annunciata una a grande mobilitazione del movimento pacifista in Italia che scenderà in piazza la prossima settimana e in una manifestazione nazionale il 5 novembre prossimi