Favorita nei sondaggi Giorgia Meloni manda messaggi tranquillizzanti all’esterno e accattivanti all’interno. Assicura Bruxelles che con la destra al governo i conti pubblici non avranno nulla da temere. Intanto non rinuncia, come gli altri due leader della sua coalizione, a promettere mare e monti come se vivessimo nel paese della cuccagna.
Il programma della destra è un florilegio di proposte che mettono insieme dosi massicce di tagli alle tasse e spese fiscali à gogo. Di tassare profitti e rendite neanche a parlarne.
Va bene che siamo in campagna elettorale e domina la propaganda, ma un programma di governo che da un lato introduce la flat tax per i ricchi e, dall’altro, concede sussidi e incentivi a singoli gruppi sociali senza porre alcun limite all’incremento della spesa pubblica, è un nonsense, una clamorosa sciocchezza.
Uno Stato immaginario, «minimo» e «massimo» al tempo stesso. Un ossimoro, un inganno colossale che espone l’Italia a rischi gravi. Non a caso autorevoli analisti tornano a evocare il default e la recessione economica.
Sconcerta il fatto che, nonostante il contenuto contraddittorio e demagogico delle promesse, tutti i sondaggi premino un’offerta politica che esprime il peggio del liberismo e del populismo.
Appare incredibile che i cittadini diano fiducia ad una coalizione che predica lo Stato sovrano e intanto lo sottomette al dominio dei mercati finanziari; che ammicca ai concessionari di spiagge, ai tassisti e a chiunque abbia privilegi e rendite da tutelare; che usa in maniera ignobile il dramma dei migranti; che vuole chiudere il capitolo della transizione ecologica; che si propone la privatizzazione dei servizi pubblici togliendo risorse preziose allo Stato sociale; che strizza l’occhio agli evasori e promette un maxi-condono in un paese in cui il tax gap è di circa 100 miliardi all’anno, e si potrebbe continuare a lungo.
Certamente pesa la crisi culturale del paese, il ruolo dei mass media e il degrado della politica. Senza infingimenti, però, dobbiamo dirci che c’è una corrispondenza diretta tra l’ampio consenso alla destra e l’arretramento politico, culturale e sociale della sinistra.
Dopo la sbornia liberista, sia pure nella versione blairiana, dei gruppi dirigenti del Pds-Ds-Pd, si sono indeboliti i legami sociali e di massa, è cominciata l’emorragia dei voti e si è allargato a dismisura il fenomeno dell’astensionismo.
Il punto è che a disertare le urne, per oltre il 70 per cento, sono cittadini a basso reddito, in massima parte ex elettori di sinistra. La destra ne trae vantaggio e, nel contempo, incamera pure il voto degli evasori.
L’astensionismo elettorale e l’evasione fiscale sono due fenomeni che, in forme diverse, esprimono il malessere sociale, denunciano un grave deficit di partecipazione democratica alla vita pubblica, rivelano una diffusa tendenza a chiudersi nel proprio particulare. Con una differenza fondamentale: il popolo degli evasori, in attesa del prossimo condono, non rinuncia a votare a destra; il popolo degli sfiduciati, dei perdenti e della povera gente continua ad astenersi.
La cosa assurda è che in Italia ad essere rappresentati, grazie alla destra, sono coloro che non pagano le tasse. Avviene un curioso ribaltamento del «no taxation without representation» (no alla tassazione senza rappresentanza), principio costitutivo dello Stato moderno.
Per secoli il «rapporto d’imposta» ha indicato il legame tra la persona fisica e lo Stato, tra imposte e rappresentanza. Ha motivato il «patto sociale» attraverso cui lo Stato esercita le sue funzioni fondamentali e si impegna a garantire ai cittadini sicurezza, giustizia, istruzione, salute e altri diritti sociali e civili.
La riflessione a sinistra deve ripartire proprio da qui, da come ridare voce e rappresentanza al popolo delle periferie, ai giovani precari, a quanti si sentono discriminati, emarginati e tagliati fuori.
L’esito delle elezioni non sarà indifferente ai tempi e ai modi della ripartenza della sinistra Se riuscissimo, contro ogni pronostico, a sconfiggere la destra il compito sarà meno arduo.
Questi giorni saranno decisivi per stabilire un rapporto con i segmenti più deboli della società e cercare di riportarli al protagonismo elettorale.
La divisione delle forze di sinistra rappresenta un altro elemento di vantaggio per la destra. Il Pd è un partito d’opinione, con un orientamento prevalentemente liberal-democratico, ma non si può negare il suo saldo ancoraggio alla Costituzione e all’antifascismo.
C’è poi la galassia del «piccolo mondo antico», illuminante definizione di Norma Rangeri. Unione popolare, guidata da Luigi De Magistris, rappresenta un primo apprezzabile tentativo di aggregare una parte di questo mondo e superare lo sbarramento del 3 per cento. Dobbiamo però aver chiaro che l’avversario da battere, qui e ora, è la destra, non il Pd, SI o i 5 Stelle.
Questa è la realtà oggettiva e non esistono scorciatoie. Dopo il 26 settembre, si tratta di affilare meglio l’arma della critica ed essere pronti a misurarci con le profonde contraddizioni della globalizzazione e del sistema capitalistico.