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L'APPELLO. Davanti allo spettacolo di divisioni e veti tra le forze di centro e di sinistra, la destra stende un preciso programma di governo che vuole stravolgere gli equilibri costituzionali. Nei collegi uninominali nessun rappresentante dei partiti, ma solo esponenti della società: esponenti di movimenti, associazioni, uomini e donne del mondo culturale

Un passo indietro dei partiti,  uno avanti per la Costituzione Il secondo giuramento di Sergio Mattarella da Presidente della Repubblica - LaPresse

Giunti al bivio si sono infilati in un vicolo cieco. Per uscirne bisognerebbe tornare indietro ed imboccare la via maestra.

Sin dall’inizio era noto a tutti che i programmi, le visioni, le sensibilità delle forze che si sarebbero dovute opporre alla preannunciata vittoria della destra erano tra loro non componibili.

Aver voluto siglare un particolareggiato accordo tra due alleati non poteva che gettare nello scompiglio i già fragili equilibri della coalizione elettorale allargata. Ora, ricomporre il quadro sembra impossibile, almeno sul piano dell’indirizzo politico e di governo.

Una spruzzatina di rosso-verde nel programma “Draghi” siglato in via autonoma e non concordata da due dei partecipanti alla coalizione non potrebbe che aumentare lo sconcerto e dare una rappresentazione falsata della natura dell’accordo perseguito. Meglio sarebbe – se ce ne fosse ancora la possibilità – riaffermare la natura e lo spirito di una alleanza elettorale tra diversi.

Su queste pagine è stato scritto ripetutamente e a chiare lettere. Ciò che lega tutte le forze dell’ipotetica coalizione è di evitare il peggio, non invece quello di realizzare il meglio. Si tratta di reagire con intelligenza e coraggio ad una situazione che rischia di portare il nostro paese fuori dall’orizzonte della democrazia costituzionale.

Per colpe diffuse, dalla quali nessuno è esente – ed alcuni degli attuali protagonisti della ipotizzata coalizione sono direttamente responsabili – rischiamo di consegnare il paese ad un gruppo di forze politiche che hanno preannunciato la fine della nostra forma di governo e di Stato.

Mentre si assiste ad un triste spettacolo di divisioni e veti tra le forze di centro e di sinistra, la destra riunisce i propri consulenti per stendere un preciso programma di governo ed ha già indicato tra i suoi punti qualificanti quello di stravolgere gli equilibri costituzionali: la democrazia parlamentare lascerebbe il posto a quella presidenziale, mentre il regionalismo italiano verrebbe piegato alle logiche brutalmente competitive del regionalismo differenziato.

Per non dire delle politiche sociali, economiche e filo-nazionaliste che la destra si propone di realizzare, che disegnano una compiuta e complessiva forma di democrazia illiberale.

Altre volte si è detto e si è scritto su questo giornale dei pericoli di una simile svolta ed è per questo motivo che è necessario auspicare che tutti coloro che avvertono il rischio si uniscano in difesa e per l’attuazione della Costituzione.

È evidente – né è opportuno nasconderlo – che tra coloro che si coalizzano vi sono idee diverse su quasi tutte le questioni di politica nazionale, la stessa interpretazione della vigente Costituzione appare assai diversa, per non dire della partecipazione attiva di molti allo scriteriato revisionismo costituzionale che è all’origine di molte delle attuali degenerazioni.

Ma – a me sembra – che, per evitare il peggio, la “grande coalizione” sia l’unica via possibile.

Una coalizione senza veti di tutte le forze unite dal rispetto della nostra Costituzione. Di questi tempi non sarebbe poco, forse è il massimo.

Si tratta di provare a mettere in sicurezza per l’intera prossima legislatura almeno il testo della Costituzione formale, per poi – evidentemente – continuare a lottare per un’interpretazione costituzionalmente orientata delle politiche dei governi, che rappresenterà il terreno di scontro tra le varie idee delle diverse forze politiche.

Una via resa possibile anche da un uso intelligente della peggiore legge elettorale possibile.

Anche in questo caso, senza tornare a discutere nel merito della legge, basta ricordare che la coalizione è resa necessaria solo pro quota: nei collegi uninominali dove vince il candidato che ottiene il miglior risultato, il quale può essere sostenuto da più forze politiche, tra loro non vincolate da un programma comune.

Queste stesse forze politiche si possono poi confrontare, ciascuno con un suo programma, presentando le proprie liste e concorrendo per la distribuzione proporzionale dei seggi.

Un’unità dei distinti, un po’ forzata, non v’è dubbio, ma questo è quanto permette di fare una legge elettorale Frankenstein. Questo è quanto è necessario fare per evitare il peggio.

Questa prospettiva ha (aveva?) un unico presupposto logico, prima ancora che politico: il riconoscimento delle diversità – anche profonde – di tutti i soggetti che partecipano all’accordo costituzionale.

È per questo che la creazione di un’asse che si ritiene titolare dell’indirizzo politico della coalizione finisce per compromettere l’intero progetto, sovrapponendo impropriamente il piano costituzionale che unisce, con il piano politico che divide.

Ed ora, che fare? Non mi sembra ci sia voglia di fare un passo indietro: a colpi di tweet è stata decretata la irreversibilità della scelta.

E allora non rimane che fare due passi avanti. L’accordo tra Letta e Calenda ha trovato un punto di sintesi accogliendo una proposta che era stata formulata inizialmente da Fratoianni: nessun candidato “divisivo” si presenterà nei colleghi uninominali, i leader di partito si confronteranno solo nella quota proporzionale.

Perché allora non proseguire su questa strada, stabilendo ora che nei collegi uninominali non si presenti nessun rappresentante dei partiti, ma solo esponenti della società civile (dei movimenti, delle associazioni, del volontariato, del mondo della cultura). Un passo indietro di tutti i partiti, per far fare due passi avanti al “popolo della costituzione”.

Non mi nascondo dietro ad un dito: una proposta che scatenerebbe una tempesta. All’interno dei partiti, che vedrebbero ridotte le possibilità di comporre i conflitti interni e ridurrebbe il numero dei posti in lista.

Fuori dai partiti, con l’evidente parallela difficoltà legata alla necessità di individuare autorevoli figure effettivamente rappresentative della “società civile”, che non è un’entità astratta ma è anch’essa divisa.

Non sarebbe dunque facile trovare un accordo, ma sarebbe un confronto di rottura e “sorprendente”, che uscirebbe delle logiche autoreferenziali della politica.

Così, composti i collegi uninominali da tutti sostenuti, ogni diversa forza politica riacquisterebbe la propria piena libertà di programma nella quota proporzionale dove ciascuno avrà il suo.

Una bella sfida. Una sfida impossibile?