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Il primo grave errore commesso in questa crisi è che i partiti, in particolare quelli che avrebbero avuto interesse a farlo, non hanno capito pienamente l’importanza dell’approvazione in tempo utile di una nuova legge elettorale. Ora è troppo tardi. Hanno rinviato, perso tempo. Eppure, più volte negli anni scorsi si è rischiato di chiudere la legislatura anticipatamente, ma questo preavviso non è stato sufficiente. Ne è prova che ancora pochi mesi fa si è dedicata tutta l’attenzione alla modifica delle circoscrizioni del Senato che, per quanto importanti, non potrebbero risolvere il nodo di fondo e cioè avviare la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra cittadini-elettori ed eletti. Eppure, l’allarme astensione ha ormai raggiunto livelli di guardia, segnalando una frattura tra corpo elettorale e rappresentanza parlamentare, la cui offerta e credibilità politica è in evidente caduta. Questo è un problema centrale del funzionamento della democrazia. Per di più dalla soluzione di questo problema dipendono le politiche che verranno adottate.

Certo c’è chi si consola affermando che la crescita dell’astensione non è solo un problema italiano. Vero, ma è solo la conferma che la crisi della democrazia non riguarda solo l’Italia e rende stucchevole la propaganda che contrabbanda lo scontro in atto nel mondo come un confronto tra democrazia e autoritarismi. Come minimo andrebbe aggiunto che le democrazie sono in crisi e non tutti gli “amici” che trovano sono campioni di democrazia. Una parte ha coltivato fino allo scioglimento delle camere la convinzione che un sistema maggioritario sia migliore per mettere l’accento sul governare, sottovalutando che da venti anni questo sistema ha fallito in Italia, nelle diverse versioni, tanto è vero che sono andati in crisi sia le maggioranze di centro destra che di centro sinistra, confermando che maggioranze raccogliticce, motivate solo dalla conquista del potere, sono fragili ed esposte a paralisi e crisi premature. Anche nella versione francese, che tanti prendono a modello, è ormai dimostrato che la crisi dei valori e delle idee-forza porta a serie difficoltà anche un sistema istituzionale ed elettorale ipermaggioritario.

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale aveva incontrato Enrico Letta, allora fresco di nomina, proprio per esporgli la ferma convinzione che una nuova legge elettorale proporzionale era indispensabile per iniziare a rispondere alla crisi della rappresentanza, che della democrazia è un punto decisivo. Quella attuale è una legge elettorale palesemente incostituzionale per diversi aspetti, i più rilevanti certamente il voto unico (coatto) per uninominale e proporzionale e la differenza abissale di rappresentanza tra aree diverse del paese. Il risultato purtroppo è sotto gli occhi di tutti, si voterà con una legge sbagliata e incostituzionale. A questo punto occorre gestire una ulteriore difficoltà e non sarà facile. La legge elettorale in vigore, non a caso difesa a spada tratta dalla destra, privilegia per più aspetti le coalizioni. Il miraggio è ottenere la maggioranza parlamentare ad ogni costo. Eppure, Berlusconi ha già dovuto gettare la spugna di governo nel 2011 pur avendo 100 deputati e 50 senatori in più dell’opposizione e non è detto che questa volta vada meglio perché il paese è di fronte a problemi di fondo.

Per essere chiari: in gioco c’è il futuro dell’Italia, della sua qualità sociale, dell’Europa, della pace.

Non si può affrontare la campagna elettorale con il torcicollo, cioè mettendo al centro il passato, a partire dal governo Draghi. Bisogna mettere al centro le scelte necessarie per il futuro. Il sostegno al governo Draghi è finito con lo scioglimento delle Camere, dopo resta solo la richiesta di Mattarella ai partiti di mantenere comportamenti responsabili durante la campagna elettorale. Questo consente di aprire una fase in cui anziché limitare le proprie scelte ai confini di Draghi si può e si deve andare oltre per dispiegare un punto di vista originale, di sinistra sulle crisi e le soluzioni da adottare. Certo, una legge elettorale proporzionale avrebbe favorito la possibilità per i partiti di esporre i propri punti di vista, per distinguersi dagli altri. Il problema della formazione di una nuova maggioranza per governare, le mediazioni programmatiche sono un problema per il dopo voto, non prima. Anche per questo fare affermazioni apodittiche del tipo mai con chi ha causato la crisi del governo è un errore. Per di più la legge elettorale in vigore rende conveniente creare alleanze che possono essere di tipo differente, da occasionali a strategiche, prima di decidere scelte avventate bisognerebbe almeno fare i conti.

Un punto chiave è certamente la crisi del M5Stelle, che è partito dal 33% degli eletti del 2018 per arrivare alle valutazioni attuali che lo vedono attorno ad un terzo. È una dimensione elettorale che rappresentava la crisi di credibilità della rappresentanza di 5 anni fa e oggi paga il prezzo di avere fallito, ma l’humus di protesta da cui ha tratto forza è sparito o resta un’area in cerca di una rappresentanza? Può diventare astensione ulteriore ma non sono azzerati il disagio, la critica, la protesta. La democrazia è anche portare dentro il meccanismo decisionale aree che sono critiche o contro. Quindi, a parte la decisione frettolosa del mai con chi ha contribuito a fare cadere il governo Draghi, resta il problema di fondo dei problemi che il M5 Stelle ha cercato di rappresentare. Si pensa di cancellare questo problema? Possibile che a sinistra non ci sia almeno qualcosa, lavoro, diritti che il governo Draghi non ha voluto o saputo affrontare, al di là della disponibilità a incontrare i sindacati nella fase finale? Possibile che non si comprenda che la gestione Cingolani, con il consenso di Draghi, della politica ambientale ed energetica in particolare ha puntato tutte le carte sulle fonti fossili a partire dal gas e trascurato l’esigenza di approvare misure straordinarie per le energie da fonti rinnovabili, a partire da eolico e fotovoltaico, e idrogeno verde come ha deciso la Germania? Il risultato è che non ci sono garanzie sufficienti che l’Italia sia effettivamente al riparo dalla crisi del gas e soprattutto che rischiamo di rimanerci legati molto più dei tempi indispensabili per realizzare gli investimenti. Parole tante, anche a sproposito sul “nuovo” nucleare, fatti pochini e tanti problemi irrisolti o rinviati.

Il PNRR, stella polare del futuro dell’Italia, è tuttora in una fase di incertezza. Gran parte dei consensi di amministratori locali derivano dalle promesse di investimenti, ma nessuno oggi è in grado di offrire un quadro d’insieme di come gli investimenti stanno procedendo, tranne le grandi aziende che hanno in mano investimenti decisivi, ad esempio i collegamenti ferroviari.

L’elenco dei problemi su cui la sinistra dovrebbe distinguersi sono molti, non solo i sacrosanti Ius Scholae e cannabis, ma ad esempio il fisco, risolto malissimo con un doppio binario: progressività per i redditi da lavoro e da pensione e proporzionalità con aliquota unica bassa per redditi finanziari, da capitali, da immobili. Anche la discussione sul cuneo fiscale non aveva ancora sciolto il nodo se riguardava i lavoratori o i padroni. Oppure l’occhiolino strizzato da Draghi alle regioni iperautonomiste nel discorso al Senato malgrado il ben magro risultato delle regioni in occasione della gestione della pandemia, che peraltro sta tornando.

Il tema che giustifica da solo l’essere di sinistra è la crescente disuguaglianza sociale. Una parte della società è relegata ai margini, in una condizione di povertà (6 milioni) di diritto allo studio negato (abbandono scolastico tuttora alto, oltre il 13%), di reddito eroso con violenza dall’aumento dell’inflazione, di occupazione e diritti negati.

Questi ed altri punti spingono a distinguere un accordo di governo, necessariamente di fase, da una strategia politica. Altrimenti le scelte politiche sono paradossalmente autoridotte a pura tattica, a gestione dell’esistente.

Per questo occorre un’iniziativa che porti in campagna elettorale proposte politiche di futuro. Anche sulla guerra in Ucraina c’è bisogno di qualcosa di più e di diverso da una subalternità agli Usa, dalla mera continuità dell’invio di armi, per affermare con forza la priorità delle trattative per la pace che l’accordo per il grano ucraino dimostra sono possibili. L’accento va posto sul rilancio della coesistenza tra sistemi diversi, su regole in grado di garantire sovranità senza affidare la soluzione alle armi, sul rilancio della riduzione bilanciata e controllata degli armamenti nucleari, su una valorizzazione del ruolo dell’ONU. Solo grandi speranze motivano scelte controcorrente.

L’Italia e l’Europa debbono svolgere un ruolo attivo, non subalterno, per garantire che un mondo multilaterale come quello attuale possa sviluppare confronto e coesistenza.

Il Pd ha una grande responsabilità per il ruolo che ha, le sinistre debbono superare divisioni e polemiche, altri soggetti possono entrare in campo e anche un M5Stelle legato a un rinnovamento sociale e di pace importante può aiutare un percorso.

I condizionamenti sono già in campo: gli aiuti europei legati a comportamenti precisi proprio mentre è evidente che l’inflazione è stata sottovalutata e affrontata senza interventi organici, rincorrendo gli aumenti dei profitti sui combustibili fossili per trovare qualche spazio di contenimento degli effetti. La campagna elettorale sarà condizionata da incubi di varia natura e da punti di crisi, per evitare che l’influenza di questo prevalga e allontani dal voto occorre far tornare in campo la società e le sinistre con programmi e proposte coraggiose, meglio se unitarie.

Parlare di Agenda Draghi come piattaforma di riferimento vuol dire dimenticare che nella maggioranza e nell’azione di governo era presente anche il peso della Lega e di Forza Italia che fino a prova contraria stanno a destra, perfino più a destra del passato, come confermano le uscite di ministri da Forza Italia. Il complesso della guardia svizzera, fedele al papa di turno, non farebbe bene al Pd, mentre la destra sta già lavorando senza vincoli e remore. Spiegare l’agenda Draghi e le ragioni dei suoi limiti è un principio di verità. Indicare con chiarezza le proprie diversità è un ricostituente per la sinistra, con la quale c’entrano ben poco i trasversalismi e gli opportunismi di Italia Viva ed altri, costretti a trovare una colla per restare nell’ambito del potere.

Solo una piattaforma chiara e forte che guarda ai prossimi 5 anni può rendere possibile affrontare questa campagna elettorale breve quanto difficile e trovare gli elementi di saldatura per stare (purtroppo ormai non si può fare altro) in questo sistema elettorale senza farsi stravolgere dal passato e travolgere dalla destra, che non è affatto invincibile ma di cui non basterà evocare il pericolo per ottenere i voti necessari per sconfiggerla.

Alfiero Grandi