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L’Italia da 30 anni è caratterizzata da una da una crescita inesistente. Il nostro Pil ristagna nelle sue 4 componenti: spesa pubblica (meno le tasse) investimenti, esportazioni

La sinistra deve abbandonare il piccolo cabotaggio Un opera di Sammy Slabbinck

La guerra e le sue enormi implicazioni, anche economiche e sociali. L’emergenza climatica. La crisi energetica. Il continuo peggioramento delle condizioni del lavoro. L’assenza di una direttrice che orienti lo sviluppo economico. Il logoramento degli apparati dello stato e il cronico sottofinanziamento dei servizi pubblici.

L’Italia si trova ad affrontare enormi problemi, strutturali e di lungo periodo, senza che in Parlamento sia presente una sola parte politica che possa da un lato rappresentare il punto di vista degli interessi popolari su questi problemi, dall’altro elaborare un’idea complessiva di Paese, un progetto politico che riguardi il presente e il futuro.

Da un anno e mezzo la dialettica politica democratica è neutralizzata dal governo Draghi. Ogni rivendicazione che abbia un minimo segno di politicità – anche se portata avanti in modo confuso, sporadico e non sistematico dalle forze politiche – è descritto come ‘capriccio’ infantile che disturba la guida adulta e indiscutibile del presidente del Consiglio.

I mezzi di comunicazione mainstream, campioni della difesa della democrazia contro le autocrazie, consigliano a Draghi di governare esclusivamente a colpi di fiducia per silenziare ogni dialettica parlamentare, vista come la manifestazione chiassosa dell’“aula sorda e grigia”. Le classi dirigenti economiche e politiche si preparano, dopo le elezioni, a fare in modo che Draghi succeda a Draghi.

In questo contesto, bisogna abbandonare il piccolo cabotaggio (alleanze, coalizioni, candidature in collegi, ecc.). Per ricostruire la possibilità di un’azione politica e sociale in Italia, bisogna avere chiaro qual è lo scenario economico e sociale complessivo, e come si possa all’interno di questo concentrarsi su alcuni obiettivi chiari e centrali per larghissime fasce della popolazione in questa transizione storica.

Il cambiamento sarà strutturale e pertanto riguarderà – già riguarda – la maggioranza della popolazione, della dimensione economica e di quella delle istituzioni. Economicamente, l’Italia da trent’anni è caratterizzata da una traiettoria stagnante e da una crescita praticamente inesistente. Il nostro Prodotto Interno Lordo ristagna nelle sue quattro componenti: consumi, investimenti, spesa pubblica (meno le tasse), esportazioni nette. La spesa pubblica è stata strozzata da politiche di bilancio restrittive.

L’Italia dal 1995 al 2019 è stato tra i paesi con la media più alta al mondo di avanzo primario, ovvero ha incassato più entrate di quanto abbia speso in servizi per i cittadini. Se lo stato non spende, i cittadini e le imprese soffrono carenza di servizi e manca una spinta propulsiva fondamentale alla crescita economica. Investimenti e consumi sono, invece, due facce della stessa medaglia.

Complice il nanismo di oltre l’85% delle aziende italiane, le imprese italiane investono poco, innovano poco e faticano a catturare nuove fette di mercato a più alto valore aggiunto. È un tessuto produttivo in cui lo sviluppo industriale è rimasto incompleto sia per l’entrata nello Sme che – a maggior ragione – per l’entrata nella moneta unica, anche a causa del grande divario territoriale e dell’ondata di privatizzazioni che giusto trent’anni fa privò lo stato di alcuni importanti attori pubblici al centro del miracolo economico nel dopoguerra.

Se non si investe non si consuma – perché non crescono i salari e non aumenta l’occupazione – e se non si consuma non si investe – perché le imprese non avranno incentivi rispetto alla domanda nel prossimo futuro. Un meccanismo che si rafforza e che necessita di un intervento esterno che metta fine alla spirale al ribasso.

In un momento in cui la diseguaglianza in Italia è tale che quaranta miliardari detengono la stessa ricchezza del 30% più povero – 18 milioni di persone (dati Oxfam, 2022) – l’azione politica deve essere azione sociale e deve guardare alle condizioni di vita basilari che sono state logorate da anni di tagli e retorica su merito e competenze.

Bisogna rivendicare lavoro di qualità e pagato decentemente – quindi è indispensabile l’introduzione di un salario minimo – che sia di nuovo fonte di riscatto e ascensore sociale; welfare e presenza di uno stato che torni a garantire diritti che rendono tale una democrazia, come le cure gratuite, le scuole gratuite e accessibili a tutti, di buona qualità e con medici, infermieri, insegnanti pagati meglio e non soggetti ad alcuna forma di precarietà. Solo sottraendo la maggior parte della popolazione dall’urgenza di bisogni primari si potrà ricostruire un tessuto sociale e produttivo nuovo, diverso.

Dobbiamo scommettere su una riscossa del nostro paese e delle prossime generazioni. Ogni discussione e scelta politica, per la sinistra italiana, dev’essere incentrata su questo, e le considerazioni ‘tattiche’ su alleanze, collocazioni e posizionamenti non possono che discenderne.