Parlare del pericolo della spirale prezzi-salari, quale concausa dell’inflazione, serve per bloccare o contenere al minimo l’incremento delle retribuzioni
Ieri si è aperto il nuovo “cantiere sociale”, così è stato chiamato con una certa enfasi il confronto che un traballante Governo terrà con le organizzazioni sindacali e poi con le imprese. Pare si voglia ripercorrere il metodo ispirato al patto Ciampi del 1993. Non proprio un richiamo felice per il mondo del lavoro. Il primo incontro, assai breve per la complessità dei temi, ha lasciato insoddisfatto il segretario della Cgil, Landini, che ha definito buono il metodo ma inesistenti le risposte di merito, mentre il segretario della Cisl, Sbarra, ha sfruttato l’occasione per attaccare la Cgil nel nome di un fantomatico patto sociale.
Al tavolo siede anche un “ospite inquietante” e poco desiderato: l’inflazione. Porta qualche sollievo al Tesoro per la diminuzione del debito dovuta all’incremento nominale del Pil. Ma per gli altri c’è poco da gioire. La “tassa diseguale”, come è stata definita l’inflazione – in un paese nel quale è stato demolito lungo gli ultimi anni lo stesso principio costituzionale della progressività del prelievo fiscale – pesa assai di più su chi è già povero. L’Istat ci fa sapere che per le famiglie a reddito più basso nel marzo di quest’anno l’inflazione era pari al 9,4%, cioè ben 2,6 punti percentuali in più rispetto al dato mensile medio. I peggio che modesti aumenti salariali di quest’anno (0,7%) sono stati spazzati via dall’aumento dei prezzi retrocedendo il potere d’acquisto a quello del 2009. In sostanza ai lavoratori a reddito fisso viene a mancare un mese di stipendio.
Per non parlare dei pensionati la cui triste condizione è stata illustrata in un corposo rapporto dal presidente dell’Inps. Lavoro povero e pensioni da fame si tengono per mano: 4,3 milioni di lavoratori stanno sotto i 9 euro lordi all’ora, un pensionato su tre deve campare con meno di mille euro al mese. Parlare oggi del pericolo della spirale prezzi-salari, soprattutto nel caso italiano, quale concausa dell’inflazione, è una pura provocazione che serve per bloccare o contenere al minimo l’incremento indispensabile delle retribuzioni.
In Europa e in Italia, in particolare, non siamo affatto di fronte ad una ripresa rigogliosa della domanda aggregata. Né si può sostenere che la causa scatenante l’impennata inflazionistica sia dovuta alla politica monetaria particolarmente espansiva delle banche centrali. Prova ne sia, come ha giustamente commentato Andrea Fumagalli su queste pagine, che a fronte di un’immissione di liquidità in sette anni pari al 20% del Pil europeo, il tasso di inflazione è stato contenuto entro il 2%. Per questo motivo l’inversione di tendenza con l’innalzamento dei tassi di interesse, sia della Fed che soprattutto della Bce, rappresenta la risposta sbagliata che prepara l’avvento della stagflazione. Il nesso causale fra la creazione di moneta e aumento dei prezzi è stato reciso dalla finanziarizzazione sempre più spinta del sistema.
Quella liquidità ha solo lambito l’economia reale, fermandosi nelle capaci sacche di quella finanziaria. E’ stata dunque la guerra, la dinamica delle sanzioni e delle contromisure messe in atto dalla Russia, a delineare il nuovo quadro inflattivo che ha perciò dimensione mondiale. Lo sfilacciarsi delle catene del valore, il brusco contrarsi dell’accesso a materie prime indispensabili alla produzione ad alto valore tecnologico, la crescita del prezzo del gas e l’incertezza sulla continuità delle forniture, l’incremento dei costi della logistica e dei trasporti, nonché la tormentata vicenda del grano, sono solo alcuni degli elementi che descrivono un’inflazione da offerta.
I sommovimenti monetari – la guerra delle valute – fanno il resto. Uno vale uno non è più il consunto slogan dei 5Stelle, ma il rapporto fra dollaro ed euro raggiunto in questi giorni. L’innalzamento dei rendimenti dei titoli Usa rispetto a quelli europei, attira flussi di capitali sul dollaro. A fare le spese di questa “ri-dollarizzazione” sono soprattutto quei paesi in via di sviluppo che hanno dovuto indebitarsi in dollari e ora subiscono senza sconti il rincaro della valuta Usa su interessi o acquisti. Anche qui piove sul bagnato, ovvero come la guerra ha innescato la retromarcia in tutti i processi trasformativi, compresi quelli più blandi, quali la transizione ecologica, così le differenze economiche e sociali nei e tra i paesi tornano ad accentuarsi.
D’altro canto la riorganizzazione della produzione su scala globale, dovuta alle mutazioni geopolitiche indotte dalla guerra, non potrà avvenire gratis e alimenterà la spirale inflazionistica dal versante dell’offerta. Torna d’attualità, ma su una scala ben più ampia, l’insegnamento di Augusto Graziani che nel 1977 scriveva che “l’inflazione ha una funzione specifica da svolgere nel meccanismo capitalistico; lungi dall’essere un puro fenomeno nominale, essa assolve alla funzione delicata di redistribuire ricchezze e potere da un gruppo all’altro”. Come allora, a favore del capitale finanziario.
Se la causa determinante dell’accelerazione inflazionistica è la guerra, la lotta in difesa delle retribuzioni da lavoro si sposa con la causa della pace e la lotta all’inflazione deve avvenire su un terreno almeno europeo.