CRISI IN UCRAINA. Accadrà a fine giugno a Madrid. Ora la soluzione della guerra spetta solo alle armi, viste le sanzioni burla su gas e petrolio a Mosca. E la transizione ecologica può aspettare o fallire
Siccità sulle rive dell'Elba a Dresda, in Germania - Robert Michael /dpa via Ap
È sorprendente il silenzio generale su due notizie non banali pubblicate in Spagna dai quotidiani El Paìs e La Vanguardia: il primo ha annunciato che la Commissione Europea sta progettando un gasdotto per unire Barcellona con Livorno; il secondo ci ha informato che la Nato, nella sua riunione di fine giugno a Madrid, non discuterà solo di strategie militari ma anche di scelte energetiche.
Il sospetto è che le notizie siano state volutamente ignorate, nonostante l’autorevolezza delle testate spagnole che le hanno rese note.
A tranquillizzarci non contribuisce nemmeno l’esito del recente Consiglio Europeo che di fatto cancella le poche speranze che l’Europa abbia finalmente un ruolo per imporre un cessate il fuoco.
Oltre alle chiacchiere sulle sanzioni, l’Europa ha infatti confermato che l’unica opzione per convincere Putin a interrompere l’aggressione all’Ucraina restano le armi, ora non più solo per difendersi, ma anche per contrattaccare in terra russa. Biden solo un giorno prima aveva detto che
quelle agli ucraini non gliene voleva mandare; poi ha spiegato al New York Times che avrebbe inviato solo missili a medio raggio, «solo per la difesa» e solo a questa condizione posta a Kiev – che Zelensky avrebbe accettato; poi invece Boris Johnson sta decidendo di strafare, pronto a inviare proprio missili a lungo raggio che possono colpire la Russia.
Pensare di poter convincere gli invasori ad accettare un negoziato ricorrendo a sanzioni-burla è stato solo un modo per confermare la debolezza dell’Europa che, sugli approvvigionamenti energetici di gas e petrolio l’Europa, ha annunciato il suo solito «vorrei, ma non posso».
Non c’è infatti nessuna proposta seria sul gas e il blocco del petrolio russo scatterà fra sei mesi e riguarderà solo quello che arriva dal mare. Per di più questa sanzione può essere aggirata perché è molto complicato controllare ciò che trasporta una nave e il rinvio dell’entrata in vigore della decisione fra sei mesi conferma che ci si sta attrezzando non ad ottenere il cessate il fuoco ma per una guerra lunga e sanguinosa.
Da questa farsesca strategia è esentato il «democratico» Orban con buona pace di immigrate/i, della comunità Lbtgq+ ungherese e ora anche delle donne ucraine che, scappate dagli stupratori, vogliono abortire.
Sul fronte diplomatico tutto è affidato all’altro «democratico» Erdogan che ha così carta bianca per liberarsi dei curdi e di chi osa opporsi al suo regime. Un quadro agghiacciante, un monumento di ipocrisia.
Intanto, nel più totale disinteresse, si susseguono le ondate di calore. È passato come notizia irrilevante il rapporto di qualche settimana fa della World Meteorological Organization che pure ci informa che tutti e quattro gli indicatori del cambiamento climatico – concentrazione di gas serra in atmosfera, acidità, temperatura e innalzamento degli oceani – sono in costante e incontrollata crescita.
Non c’è quindi molto di che entusiasmarsi per l’annuncio fatto dalla Commissione Europea che viene varato il piano Repower EU. Dovrebbe mobilitare circa 500 miliardi di euro per rilanciare la transizione energetica rinnovabile europea.
Anche perché questo piano, più che rilanciare la annunciata rivoluzione, appare molto concreto quando parla di progetti fossili e fa invece solo molte chiacchiere quando tratta di rinnovabili e efficienza energetica. Si prevede infatti di spendere 2,5 miliardi di euro solo per costruire un gasdotto per unire Barcellona e il suo rigassificatore con il porto di Livorno.
Colpisce che questo drammatico evolversi della situazione non sollevi dubbi e il nostro Draghi possa, tranquillo, continuare a sentirsi salvatore dell’Europa. Certo facilitato da una diffusa rassegnazione della società alla ineluttabilità del cambiamento climatico, così come sulla fine delle pandemie improvvisamente scomparse, sebbene contagi e decessi continuino, anche se mitigati dalla bella stagione.
Nonostante la disinformazione una maggioranza dell’opinione pubblica è con i pacifisti. Non basta però rilevarlo dai sondaggi e poi rassegnarsi al peggio, subendo.
Ci sono le condizioni per disturbare chi governa e manovra e dare corpo ad una alternativa in grado di fermare questa pericolosa deriva. Forse si pretende troppo da queste classi dirigenti perché far qualcosa contro questa corsa verso l’abisso implicherebbe mettere in discussione la loro granitica apologia per il modello di sviluppo capitalistico e quel dogma dell’eterna crescita che lo alimenta.
Se poi si pensa che alla devota Nato è stato conferito anche il compito di decidere sulle scelte energetiche europee (ma quando e chi l’ha deciso?) vuol dire che la militarizzazione della politica è ormai completa: alle armi si affida la soluzione dei conflitti, all’Alleanza Atlantica la responsabilità di gestire i nostri bilanci statali, aggravati come mai dall’aumento della spesa bellica e ora anche l’immediato futuro energetico europeo.
A preoccupare non c’è dunque solo il perdurare della pandemia o il sempre più possibile estendersi della guerra, ma anche che si allontani ogni possibilità di contenere nel 2050 l’aumento delle temperature entro un grado e mezzo.
Le conseguenze gravissime del fallimento degli obiettivi climatici sono già note, ma sembra che al nostro governo, così come agli altri europei, non gliene importi niente.