È possibile che da questo dramma, possa nascere in Italia, intorno al «NO alla guerra e all’economia di guerra», una forza che saldi insieme Costituzione, pace e cultura e ambientalista?
Innocente, "Giotto", 1997
Fino a gennaio avrei detto, pensando alla politica nazionale e alle elezioni alle porte, che si potesse soltanto continuare a lavorare sui territori, in movimenti ed esperienze locali anche elettorali, in pratiche di mutualismo e in laboratori e progetti culturali. Ritenevo assolutamente impraticabile l’entrata nella galassia del Pd e pensavo necessario attrezzarsi per un medio periodo ad un destino come la sinistra americana che per anni ha creato la sua comunità ritenendo inagibile lo spazio della rappresentanza. I nostri mondi sono stanchi di liste elettorali last minute e troppe sono state le delusioni e le ferite di questo ultimo decennio, oltre all’ingombro permanente di quel che resta della sinistra politica. Ero giunto quindi al convincimento della necessità di saltare la prossima scadenza delle elezioni politiche come dato di realtà.
Anche perché la stagione della pandemia, iniziata con la speranza e la convinzione di uscirne Meglio, si sta concludendo in maniera disastrosa con il governo dei Migliori e la guerra. Un esito impietoso, che ha mostrato la debolezza dei movimenti e delle esperienze presenti ovunque in Italia e la conseguente incapacità di incidere sulle scelte quando lo scontro sale di livello.
In questi due primi mesi di guerra il mio realismo si è incrinato e con esso le mie certezze. La guerra e la sua cultura sta ridisegnando tutto. Vediamo il direttore dell’Avvenire indicato come «putiniano», assistiamo al giornaliero assalto all’Anpi e alla costante derisione di chi chiede pace, parola vilipesa ormai spacciata per debolezza o resa.
Siamo entrati in una economia di guerra, in cui tutte le azioni necessarie (riconversione ecologica, abbandono dell’economia fossile, diritti al e nel lavoro, diritti per tutt*, servizi pubblici e stato sociale) sono abbandonate, classificate come “lussi” per i momenti facili. Si approva l’aumento delle spese militari in tre giorni e la prima conseguenza della guerra è il ritorno all’economia fossile. Si sta disegnando una Europa terribile, che coincide con la Nato e che si forgia nella guerra. Un vero e proprio spartiacque per la storia europea, che sotterra la nostra Costituzione.
Di tutto questo in Italia il Pd di Letta è il capofila ed il fulcro di un’azione d’attacco non solo alla galassia della cosiddetta sinistra radicale ma anche del cattolicesimo democratico. È una rottura storica che ha una ragione di cui dobbiamo tenere conto: l’unico leader mondiale per la diplomazia e la pace è il papa.
Ma lo spartiacque della guerra ricolloca non solo il mondo cattolico e il cattolicesimo democratico, che si trova di fatto privo di rappresentanza in Italia, ma anche la sinistra. Mischia le carte, rompe vecchie geografie, crea nuove convergenze (questo attacco continuo a chi non sostiene la guerra sta creando un NOI largo). Lo scontro tra chi vuole proseguire la guerra per eliminare Putin e chi invece vuole una iniziativa di pace aprirà nuovi spazi già in questi mesi. E sempre più vasta è la paura rispetto allo slogan «Vincere la guerra» e più forte la domanda: dove ci state portando?
Appare quindi lecito chiedersi se non sia il caso di fare una verifica prima di abbandonare il campo della scena politica a Letta, Draghi, Salvini, Meloni.
Sarebbe possibile pensare che da questo dramma, che durerà, possa nascere in Italia, intorno al NO alla guerra e al NO all’economia di guerra, una forza completamente nuova che saldi insieme la Costituzione, la cultura di pace e ambientalista di questo papa, la salvezza del Pianeta e i valori di giustizia nostri, della sinistra? E che sfidi i signori della guerra alle prossime elezioni?
Una proposta all’altezza dello sconquasso della Guerra, del tutto nuova, non per occupare uno spazio, ma la costruzione di una presenza nuova, che ci è imposta dalla realtà. Bisogna vedere se esistono le condizioni politiche e le motivazioni soggettive per un nuovo «folle» impegno e fare una cosa larga e grande, perché queste riflessioni non possono essere frutto di minoranze. Ed è possibile che non si possa fare, perché la nostra sconfitta è così grande da levarci anche l’agibilità minima o perché il tutto il campo di azione è occupato dal bellicismo rappresentativo.
Stavolta sarebbe semplice dire chi siamo. Siamo quelli per la pace e il ripudio della guerra, per la diplomazia, che vogliono la riconversione ecologica, i diritti di chi lavora, i diritti per tutt*. Non stiamo con gli altri perché loro propongono il contrario. Siete di sinistra? Sì. Sulla guerra siete d’accordo con il papa? Sì. Ma anche con Greta Thunberg? Sì.
Penso che valga la pena di pensarci e magari lavorarci. Cosa ne dite?