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LA POLEMICA. La negazione del conflitto kelsensiano per mano della parte uscita vincitrice dal combattimento schmittiano, e il conseguente schiacciamento dell’intero sistema politico sulle posizioni dei vincitori

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Tra i tanti interventi che in questi giorni contribuiscono ad alimentare la banalizzazione e l’esasperazione del dibattito pubblico sulla guerra, colpisce quello proposto da Luigi Manconi (la Repubblica, 8 aprile) in un articolo intitolato «Un’idea pavida di democrazia».
Lo scheletro dell’argomentazione è il seguente: chi è contro il sostegno armato all’Ucraina è contro il combattimento; dunque, è contro il conflitto sociale; dunque, è democraticamente un pavido. Attribuite, tout court, tali posizioni al «senso comune progressista», l’autore procede a bollarle come sintomo di «un acuto punto di crisi del pensiero democratico», «forse addirittura il ribaltamento di un’intera concezione della storia e del ruolo, nella storia, della lotta, del conflitto sociale, della mobilitazione collettiva». Una vera e propria «catastrofe intellettuale», consistente niente meno che nella «svalutazione del concetto stesso di libertà», categoria che «sembra oggi messa in crisi dalla diffusione di una idea sostanzialmente pavida della democrazia». Pavida e nichilista, si potrebbe aggiungere, visto che, in ultima istanza, «ne discende la convinzione che nulla valga davvero la pena e che il pericolo per l’incolumità propria e altrui debba prevalere su tutto».

Una maionese concettuale impazzita, scaturente da un non sequitur – quello che identifica il combattimento e il conflitto sociale – sorprendente in un uomo della cultura e dell’esperienza di Luigi Manconi.
In effetti, il combattimento è tutt’altro che l’equivalente del conflitto sociale democratico: è il suo esatto opposto. Le moderne società pluraliste sono, per definizione, società attraversate da linee di faglia plurime: di matrice politica, economica, sociale, ideologica, religiosa. Tenere insieme tale pluralismo è la grande sfida che le costituzioni del dopoguerra ereditano dal fallimento delle costituzioni liberali ottocentesche (fallimento da cui origina il fascismo). Si tratta di due modelli radicalmente contrapposti. Da un lato, le costituzioni del Novecento basate sulla prospettiva kelseniana dell’inclusione dialettica del più grande numero possibile di parti sociali, attraverso l’incanalamento del conflitto nelle procedure democratiche. Dall’altro lato, le costituzioni dell’Ottocento: basate sull’opposta visione schmittiana dell’esclusione di tutte le parti per mano della sola uscita vincitrice dal combattimento fratricida tra amici e nemici. Quando don Milani polemizza con i cappellani militari, giustapponendo alle armi della guerra le “armi” del voto e dello sciopero, si muove esattamente lungo questa linea di contrapposizione.

Una contrapposizione che Manconi – come tutti coloro che lamentano il «tradimento» dei pacifisti – non coglie, contribuendo colpevolmente ad alimentare la rivincita della visione schmittiana del combattimento su quella kelseniana del conflitto: un arretramento etico-politico che oggi è la principale causa di debolezza della nostra democrazia.
È da qui, infatti, che viene la distruzione del sistema parlamentare e partitico a favore del sistema verticistico e personalista che oggi ci affligge: sino allo scandalo, senza pari al mondo, di una legge elettorale incostituzionale con cui, per tre legislature, si è voluto a tutti i costi di sancire un vincitore la sera delle elezioni. Ed è sempre da qui che viene la negazione, sul piano del conflitto sociale, di qualsivoglia iniziativa osi mettere in discussione l’ordine sancito dai dominanti, in nome dell’impossibilità stessa di concepire alternative all’esistente: basti pensare al caso dello sciopero generale proclamato da Cgil e Uil, bollato dai grandi mezzi d’informazione come una sorta di tradimento della Patria.

Il problema che oggi abbiamo di fronte è esattamente questo: la negazione del conflitto kelsensiano per mano della parte uscita vincitrice dal combattimento schmittiano, e il conseguente schiacciamento dell’intero sistema politico sulle posizioni dei vincitori. Con l’effetto, tipicamente ottocentesco, del crescente scollamento tra sistema politico e corpo elettorale: come dimostrano i sondaggi d’opinione ostinatamente contrari al sostegno armato all’Ucraina e all’aumento delle spese militari.
È questa la vera «catastrofe intellettuale» del nostro tempo: la catastrofe dei tanti, troppi, Manconi che hanno abbandonato Hans Kelsen e sono passati, armi e bagagli, a Carl Schimitt.