Domenica 14 marzo 2021, il partito democratico avrà un nuovo segretario, il gentile e affabile, un po’ algido, Enrico Letta.
Quello di “Enrico stai sereno” pronunciate dal bugiardo di Rignano, la “peste” che porta scompiglio nella casa democratica, incessantemente da quasi ormai dieci anni.
Sia quando era dentro e ancor di più ora che ne è fuori. Se dobbiamo però da esprimere un giudizio più sereno e obiettivo di quanto non consenta la passione politica, che ci porta a provare tumultuosi sentimenti di avversione (all’odio non c’arriviamo), verso chi causa crisi e rotture, intenzionalmente e per puri calcoli di interesse personali e di gruppo, dobbiamo pur riconoscere che lo “sporco lavoro” gli viene molto facilitato dalla condizione precaria, per usare un eufemismo, in cui versa il partito di riferimento.
Una situazione che definire declinante è poco, si potrebbe dire vero e proprio costante deliquio, oscuramento delle facoltà politiche. Altrimenti come sarebbe potuto accadere che una compagine che vale meno del 2% riuscisse a ribaltare una coalizione che raggiunge più del cinquanta per cento alla Camera e si avvicina alla maggioranza assoluta al Senato?
E come potrebbe accadere che un segretario di partito che gode di un’ampia maggioranza, almeno dal punto di vista nominale, sia indotto dalle difficoltà a gettare irrimediabilmente la spugna, quasi scappandosene? Giustamente il professor Ignazi ha ricordato illustri precedenti sempre nello stesso ambito. E come è possibile che si giunga nel volgere di pochi giorni ad individuare e ad eleggere un nuovo segretario, con procedura d’emergenza, senza uno straccio di discussione che possa far comprendere questa nomina verso quale sbocco porta?
Tutto nel silenzio di ovattate riunioni di capicorrente, i quali si impegnano ad una “tregua” fino alla scadenza congressuale. Sono questi, personaggi su cui si può fare affidamento? E in cambio di cosa hanno accettato un segretario in parte diverso ma senza dubbio con evidenti elementi di continuità col dimissionario di cui hanno chiesto incessantemente e rumorosamente la testa fino ad ottenerla?
Sono domande di senso che un qualsiasi attivista, iscritto a un normale partito, dovrebbe porsi davanti a scenari tanto imperscrutabili e inquietanti. In casa PD invece, tutto tace, tutto si svolge nella più banale indifferenza della base, come in quelle ridicole finte tragedie, in cui alla fine il morto si mette a ballare, si scopre che è una farsa e lo spettacolo si conclude con piroette, appalusi, trombette e pinzillacchere.
Perché quel che conta al fondo è che la “macchina” continui a girare, le variegate truppe di ministri, sottosegretari presidenti-governatori, sindaci, assessori, consiglieri, e tutta la svariata umanità del professionismo politico, possa proseguire il suo quotidiano tran tran in condizioni di stabilità e sicurezza.
Purtroppo quel partito è ridotto ad essere fondamentalmente questo, e quindi non c’è molto da sperare, anche dall’onesta e generosa seconda occasione che il mite Enrico si concede.
Sergio Caserta