Sindacato/Ambiente. I nostri avversari hanno cercato di dividerci. Soprattutto da quando si è cominciato a parlare di dissesto ambientale, di cui è stata offerta una versione spesso del tutto infondata: una rivendicazione dei privilegiati, un po’ più di verde e di aria pulita per vivere meglio
Cari compagni della Cgil, non siamo certo le sole che sono rimaste sconcertate leggendo quanto i sindacati Filctem-Cgil, Femca e Flaei-Cisl e Unitec-Uil hanno proposto qualche giorno fa per far fronte alle urgenze del disastro ambientale. Ci rivolgiamo a voi perché, pur con diverse sensibilità legate alle nostre età differenti, ci sentiamo, per storia e collocazione politica, parte integrante di un fronte di cui da sempre la Cgil ha costituito il nucleo decisivo.
Per questo partiamo da voi, ma cercheremo il confronto anche con Cisl e Uil. Per dirvi con sincerità che proprio per via di questo legame non ci sembra giusto limitarsi ad esprimere sconcerto, sentiamo l’obbligo di rendere pubblico il nostro dissenso per avviare fra noi una discussione seria che impedisca che un tema decisivo come le sorti della Terra che abitiamo venga utilizzato per dividerci. Sappiamo bene che la linea assunta dai sindacati menzionati non è quella delle confederazioni,e però ci sembra non possa esser passata sotto silenzio.
I nostri avversari hanno cercato di dividerci. Soprattutto da quando si è cominciato a parlare di dissesto ambientale, di cui è stata offerta una versione spesso del tutto infondata: una rivendicazione dei privilegiati, un po’ più di verde e di aria pulita per vivere meglio.
Insomma, l’odioso ricatto imposto agli operai dell’Ilva: «meglio morire di cancro che di fame».
E però, adesso siamo arrivati a un punto cruciale, il processo di distruzione del nostro ecosistema ha fatto un salto di qualità, la pandemia, che ne è un aspetto, è lì a provarlo. Se non innestiamo subito la svolta indispensabile, che significa governare la riconversione verso un diverso e nuovo progetto di produzione e di consumo, il prezzo che pagheranno i più deboli sarà tremendo.
Può il sindacato tirarsi fuori dallo scontro che si aprirà, lasciando che chi lucra su questo modello di economia e di società decida del nostro destino? O non deve, al contrario, decidere di stare in prima linea nella lotta per chiedere e imporre che si imbocchi un’altra strada? L’urgenza di affrontare seriamente i nodi irrisolti del nostro confronto l’abbiamo avvertita quando abbiamo preso conoscenza delle proposte del documento unitario dei tre sindacati che rappresentano i lavoratori dell’energia, del tessile e dei chimici. Il documento unitario proposto ci sembra abbia lo sguardo rivolto al passato, un passo indietro per l’intero movimento sindacale, in particolare per un sindacato come la Cgil.
Può la Cgil, che si è sempre distinta proprio perché ha sempre saputo guardare lontano, oltre la rivendicazione immediata, rinunciare a svolgere il proprio ruolo storico proprio nel momento in cui la rivoluzione forse più difficile del nostro tempo è entrata nel nostro ordine del giorno?
Siamo anche noi consapevoli che nel porre mano al progetto di una trasformazione del sistema energetico non si può non prevedere una fase di transizione, ma vorremmo segnalare che se si parla di transizione bisogna indicare la nuova sponda dove si vuole arrivare, che non può essere il ritorno alle centrali a gas a ciclo combinato, solo poco meno inquinanti di quelle a carbone, sapendo peraltro che quelle avviate già 15 anni fa sono restate sottoutilizzate.
Non si transita, ma si ristagna, se non si indica, anzi nemmeno si nomina, l’approdo strategico: di fare dell’Italia un paese capace di ridurre i suoi bisogni di energia e di produrre quella di cui necessita con le fonti energetiche rinnovabili, quelle vere e non quelle assimilate, già oggi anche più economicamente convenienti.
Citate fra le rinnovabili solo l’idroelettrico, ma sapete anche voi che questa è stata una fantastica risorsa usata dai nostri avi, oggi tuttavia insufficiente, soprattutto in Italia, e comunque incapace di offrire una produzione energetica quale quella possibile ricorrendo al solare fotovoltaico e termico, o all’eolico, le tecnologie su cui tutto il mondo sta puntando.
Altrettanto sconcertante è la proposta di fare centrali a metano per produrre l’idrogeno blu, come a Civitavecchia, una scelta che fa capire la centralità che viene data dal documento sindacale al gas rispetto alle rinnovabili, visto che viene pressoché ignorato l’idrogeno verde, quello prodotto con fonti rinnovabili, come sostenuto da gran parte del mondo scientifico. Così non si transita, si rafforza solo la catena che ti inchioda alla riva da cui dovresti salpare.
C’è da chiedersi, infine, quali siano i centri di ricerca scientifica che forniscono queste indicazioni ai tre sindacati e colpisce negativamente che la sola società ricordata nel documento sia la Sogin, quella incaricata di gestire i rifiuti nucleari, tristemente famosa per aver totalmente fallito il suo compito. Ma c’è anche un altro, decisivo aspetto:: quello relativo al decentramento della produzione e distribuzione, universalmente riconosciuto come essenziale al nuovo modello fondato su altre fonti, ma anche sul risparmio energetico.
In proposito non c’è nel documento neanche una parola sul carattere democratico e di partecipazione popolare di cui è portatore. E questo sebbene stia qui la vera chiave di un progetto che vuole davvero «transitare» verso le fonti rinnovabili. Se manca finisce per prendere piede uno sviluppo come quello realizzato in quasi tutto il mezzogiorno dove si sono sottratti migliaia di ettari all’agricoltura per riempirli di pale eoliche e successivamente di pannelli solari, senza alcun criterio programmatorio, ma spesso solo per una corsa, a volte mafiosa, agli incentivi.
Un nuovo modello energetico non può che avere al suo centro le comunità energetiche, nel quadro dell’invocata economia circolare. Non si può cioè fare affidamento solo su ciò che sono oggi, pur nelle loro diversità, Enel e Eni, grandi aziende ricche di competenze, ma figlie di un modello centralizzato e monopolistico in larga parte da superare.
Sappiamo tutti quali e quanti sono i temi su cui ragionare assieme. Negli anni ’50 Di Vittorio lanciò il Piano del lavoro; negli anni 90 Sergio Cofferati sottoscrisse con Legambiente un patto di consultazione che portò a numerose piattaforme unitarie ed infine prima Epifani e poi Susanna Camusso avevano cercato di dare continuità a queste iniziative; Maurizio Landini ha subito e più volte riproposto questo tema ora annunciando una conferenza di programma; e indicando nella sua prima relazione a segretario generale a Bari, anche un nuovo modo di organizzarsi del sindacato: non più solo in categorie ma anche in «sindacato di strada», capace di aggregare i tanti soggetti diversi che vivono nel territorio e che potrebbero costituire un nuovo assai interessante soggetto rivendicativo capace di tradurre il discorso ecologico in vertenza.
Oggi abbiamo l’occasione di un finanziamento pubblico, quello del piano europeo Next Generation, per innescare la transizione. Evitiamo che queste risorse vengano disperse per soddisfare i tanti «ecofurbi» in circolazione. Abbiamo poco tempo: ancora ieri un’altra esondazione di fiumi in Sardegna, altri morti, altri danni. Investire in un rinnovamento profondo non è spesa, è risparmio.
* Portavoce Taskforce Natura e Lavoro
** Deputata LeU, ex presidente Lega Ambiente