Sono giorni, questi, di un autunno che si annuncia difficile per il mondo intero, e che invitano a riflessioni che ci impongono di mettere il naso fuori di casa. Almeno con il pensiero che - non di rado - aiuta molto più di tanti affannosi spostamenti.
E’ trascorso più di un mese dal referendum costituzionale, vicenda grande per l’Italia e quasi invisibile nel resto del mondo. Per chi, come è il mio caso, ne esce con una annunciata sconfitta, è doveroso fermarsi e cercare di capire. La sconfitta era annunciata, per non meno di due ragioni. Una ragione parte dai numeri. Quando, in marzo, il referendum sembrava imminente, le proiezioni ci dicevano che il nostro NO si aggirava sul 9%. Per il resto, erano tutti Sì. A seguire, un lock down che ha fatto mettere tutto, tranne il virus, in secondo piano. Alle parole - in questo caso lock down - ci abituiamo troppo velocemente, soprattutto quando diventano vulgata ripetuta ogni momento. Down, giù, per terra. Come chi getta le armi. Un linguaggio fra il miliare e il rinunciatario. Perché, mi dice un caro amico di lingua madre inglese, non lock in? Chiudere la porta al pericolo, è qualcosa di più attivo e razionale del gettarsi giù per terra. Ma noi, tutte e tutti, a dire e a ripetere lock down. Almeno per quanto riguarda il virus. Ma per quanto riguarda il referendum costituzionale, noi “resistenti costituzionali”, ci siamo ritrovati in, e molto connessi fra di noi.
Abbiamo avviato esperimenti di attivismo civile a distanza, di riflessione sulla inedita esperienza in corso, tutte e tutti dentro casa, ma non per terra. Ci siamo preparati al referendum, pur sapendo che non lo avremmo vinto. La seconda ragione della sconfitta annunciata? L’opinione popolare, ampiamente diffusa, che il Parlamento, pur con tutti i suoi alti numeri, lavorasse male. Ma non da poco tempo. Da molto, moltissimo tempo. Quale migliore occasione di un referendum popolare, per dirlo con voce alta e forte? La voce del popolo che parla è sempre alta, anche se non sempre è giusta. Ma noi “resistenti costituzionali”, con ostinazione, a partire da luglio, e durante un agosto vacanziero e troppo imprudente, con grandissime difficoltà, e scarsi mezzi - media in altre faccende affaccendati -, con pazienza quasi certosina, abbiamo cercato di portare la discussione sul piano del ragionamento, storico e politico. E’ tagliando che si migliora il Parlamento? Vale la pena reagire con la rabbia e punire, in questo caso, la incolpevole Costituzione, anziché criticare chi ha fatto leggi elettorali incostituzionali e mandato in Parlamento personale politico quasi sempre, e da molto tempo, al di sotto di quanto esige l’art.54 della Costituzione “ … I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore …”? Abbiamo cercato, con poche forze a disposizione, di metterla in politica, di entrare nel merito, di informare, discutere, parlare, chiarire le nostre ragioni. Il contrario dell’immaginare una bacchetta magica che taglia e rimodella, a prescindere. Non abbiamo vinto, ma dal 9% di marzo abbiamo superato il 30% di settembre.
Sconfitti, ma in piedi e dignitosamente. E avendo fatto incontri importanti. Con giovani colti e impegnati che stanno scoprendo il valore della politica, fatta in prima persona, e organizzata in modo permanente. Un giovane del partito democratico ha scritto una Lettera ai miei compagni, in cui rendeva pubbliche le ragioni del suo NO. La lettera si conclude con una citazione. Nella vita a volte è necessario saper lottare, non solo senza paura, ma anche senza speranza. Sandro Pertini. Una lezione di buona politica, che mi ha commosso e che mi incoraggia, nonostante questi giorni difficili in cui il Parlamento è troppo silente, dimostrando così ancora una volta che i parlamentari non hanno compreso quanto sia ampia la sfiducia popolare in chi lo abita. Con un Presidente del Consiglio che sembra non avere fiducia neppure nel Governo che presiede, se è vero che continua la pratica di suoi Decreti, a volte sconosciuti anche ai suoi ministri, che poi protestano. Parlano poco fra di loro, i ministri del Governo. E parlano poco fra di loro anche i parlamentari. Sembrano spesso preferire conferenze stampa o esternazioni extraparlamentari. Non va bene. E non c’entra la Costituzione, ma il danno è fatto da chi la onora poco e male.
Vedo però novità che credo di potere definire di natura sicuramente politica. Giovani, fino a non molto tempo fa poco visibili, che si muovono in autonomia, per il clima e per l’ambiente - questioni politiche di prima grandezza - e con ostinazione, nonostante il covid. Le sardine in Italia, che non vogliono legarsi. Cercano interlocuzioni che trovano con fatica, ma insistono, anche se i media ultimamente le trascurano, le sardine. Invece hanno agito molto nei luoghi dove in settembre si sono avute le elezioni amministrative e regionali. C’è un certo risveglio democratico, in Italia? Lo spero. Alcune intelligenze politologiche che ascoltiamo sempre con attenzione, anche dopo il referendum, insistono su un tasto che sarà difficile fare risuonare in positivo. Debbono rinascere i Partiti - dicono - senza i quali il populismo vince. Già, ma a cosa è dovuta la crisi della democrazia rappresentativa, e non solo in Italia? Cosa erano un tempo i Partiti, cosa sono poi diventati, e perché? Il nostro faticato 30% è il risultato di un nostro impegno che ha messo al centro la Costituzione e la cultura politica che la attraversa. Possono i Partiti - nessuno escluso - fare la stessa affermazione, per quanto riguarda per lo meno gli ultimi decenni? Stanno, i Partiti, studiando bene i risultati che il Cattaneo ci ha spiegato, in merito al risultato referendario? Lo sta facendo la sinistra, variamente collocata? Quanto populismo c’è nel 70% dei Sì?
Non mi nascondo - sto cercando di non accantonare il problema - che un numero non grande ma significativo di costituzionalisti si è espresso per il Sì, o non si è espresso. Pensando e dicendo, a ragione, che la grave crisi in cui versa l’Istituzione Parlamento non è questione di numeri, ma di strumenti per fare funzionare bene il Parlamento, a partire da una legge elettorale che rimetta nelle mani dei rappresentati il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Grandi promesse in tal senso, prima del referendum. Ora il tema è silente. Come ridare ai Partiti il ruolo che la Costituzione indica, se non rinasce una cultura politica, per quanto plurale, che alla politica ridia valore? Le giovani e i giovani che stanno agendo e facendo proposte, sono, in genere, studenti o persone di buon livello culturale. Conoscono la storia, la politica e il mondo. Studiano. E, in buona misura, hanno votato NO al referendum, dicono le analisi del Cattaneo. E’ una buona notizia. Ci consente - penso alla mia generazione - di passare la mano. Sarà questa nuova generazione che, forse, farà rinascere il ruolo dei Partiti. Se i Partiti avranno una forma, una cultura e metodi diversi da quelli che li hanno resi morituri, o stravolti. C’è un ritardo di molti decenni. Poche mosche bianche, e inascoltate, lo dicevano, ben prima di Mani Pulite.
E, sempre per mettere il naso fuori di casa, quello che più ci preoccupa, in queste giornate di fine ottobre, sono le elezioni presidenziali in USA. Una parte - vedremo presto quanto grande - di popolo americano ha vissuto questi quattro anni di Trump come un incubo. Non è una metafora, è stato veramente un incubo, che testimonia quanto anche una democrazia di lunga durata come è quella statunitense, possa contenere demoni latenti, ma che esplodono quando trovano una fenditura, o un vuoto. Ma le democrazie contengono anche anticorpi. E’ quello che abbiamo visto quando straordinarie manifestazioni di donne hanno protestato contro la volgare misoginia di Trump. Quando manifestazioni antirazziste hanno scosso tutti gli Stati dopo la orrenda uccisione di George Floyd. Quando, recentemente, idee socialiste sostenute da giovani e bravissime donne del Partito democratico, stanno arrivando nelle Istituzioni, al Congresso e al Senato. Ho pensato, nei lunghi e difficili mesi del covid.
Chissà che non si inveri, in questo nostro tempo, la previsione di Marx, smentita fin qui. Che il socialismo si faccia strada nei paesi a capitalismo maturo. Ma di nuovo smentendo Marx, almeno in parte. Non sarà la classe operaia a fare la rivoluzione. Stanno facendo una rivoluzione culturale senza armi donne, uomini, giovani e non, che hanno studiato, che conoscono la storia, che non intendono più vivere in un mondo dove economia, politica e scienza marciano separati e non di rado ostili a ciò che è comune. Il vivere, il soffrire, e la ricerca della felicità. Come Jefferson scrisse all’inizio della prima rivoluzione moderna perché repubblicana. Res publica, grandi parole. Che siano in mente ai più di settanta milioni di cittadine e cittadini statunitensi che hanno già votato? Un numero così alto di voti prima del tre novembre non si era mai visto, nel secolo scorso e fino ad oggi, negli States. Per uscire subito dall’incubo? Lo speriamo. In caso contrario, l’incubo continuerebbe anche per noi.