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Rete Disarmo: F-35, l'unica via è non comprarli (20/02/2014) - Vita.it

In tempo di coronavirus, vorrei segnalarvi un fatto che per me, che abito vicino alle fabbriche varesine che producono elicotteri e aviogetti impiegati nelle guerre che sfregiano tante regioni del mondo, rappresenta una novità ed una svolta imprevista.

Come racconto nel post settimanale che è ospitato a questo link https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/02/aerei-da-guerra-indispensabili-leonardo-non-si-ferma-ma-le-condizioni-non-convincono-i-lavoratori/5753691/

i lavoratori dell’Alenia Aermacchi (oltre 1500 dipendenti) di Venegono hanno scioperato lo scorso Giovedì e non si sono presentati ai loro banchi e ai loro modernissimi attrezzi, giudicando non affatto indispensabile la produzione loro affidata, nonostante le pressioni del Prefetto di Varese e le arroganti affermazioni dell’Amministratore Delegato di Leonardo, Alessandro Profumo.

Quasi un’intimazione - peraltro subita purtroppo nei reparti novaresi dove si monta l’F-35 - giunta puntualmente in una intervista al Corriere della Sera dopo lo sciopero dei metalmeccanici della Lombardia. Nello stabilimento varesino, gli addetti hanno anteposto ad ogni altra cosa il rischio del contagio, l'incolumità della loro vita: assimilandosi in ciò, più o meno consapevolmente e come in un flash improvviso, ad altri viventi lontani, senza volto, vittime indirette della torsione che l’industria delle armi impone alla loro fatica, alla loro professionalità, alle loro conoscenze.

Non è cosa da poco un rifiuto deciso all'entrata della fabbrica e non era mai successo per ragioni spontanee e con una motivazione così imprevista nel settore aeronautico varesino – ne so qualcosa per i miei trascorsi sindacali - nemmeno nel grande fermento della classe lavoratrice, a cavallo fra gli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo.

Si dirà che è prevalsa la paura, che una fermata in un frangente eccezionale come quello della pandemia in corso non è granché. Io mi azzardo a pensare invece che non tutto tornerà come prima e che, ad esempio, non riceverà la stessa scarsa attenzione di ieri continuare a privatizzare la salute in Lombardia, fino a non mantenere in vita i presidi sanitari e le apparecchiature adeguate e sufficienti a rendere efficace il legame sociale che sapeva unire virtuosamente (non "eroisticamente"!) gli abitanti del territorio con gli operatori negli ospedali.

E ho la convinzione che solo una profonda riconversione del modo e delle finalità sociali del lavoro e delle produzioni, oggi per gran parte non essenziali se non addirittura nocive, ci porterà ad evitare crisi sempre più gravi e con sempre meno tempo davanti.

La vicenda Aermacchi, certo, è solo un timido segnale: ma lo è tanto più in quanto l’accordo firmato dopo lo sciopero abilita le lavoratrici, i lavoratori ed i loro delegati a contrattare le condizioni della ripartenza degli impianti dopo Pasqua. Solidali e arricchiti di qualche riflessione in più sul futuro, non solo della loro azienda.  Un caro saluto. Mario

 


Mario Agostinelli
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blog: www.marioagostinelli.it