Un mio caro amico ha sintetizzato la dinamica che ha portato alla vittoria di Bonaccini e del PD in Emilia-Romagna con queste parole che condivido: “A sinistra Bonaccini ha recuperato grazie alla paura del “lupo”, a destra ha drenato presentandosi come la forza della stabilitá, che non tocca i rapporti di forza ma li consolida”. Il mio giudizio sulla politica della Regione di questi anni è che essa sia stata espressione, nelle sue linee fondamentali, di quel “neoliberismo progressista” di cui il PD è il principale perno nel nostro paese.
In Emilia-Romagna quell’aggettivo ” progressista” risente più che altrove della lunga storia della “regione rossa” che ha alle spalle. E dunque è migliore di quello che mediamente il PD riesce a esprimere nazionalmente. Ma la collocazione del PD nel contesto sociale è saldamente ancorata agli interessi forti, non più vissuti come distinti, per non dire alternativi, ai ceti popolari. Il PD vive la società come una melassa di soggetti indistinti annegati nel binomio onnicomprensivo e salvifico di “lavoro e impresa”. Sotto questa visione pacificata situazioni anche estreme di sfruttamento del lavoro, di abbandono e degrado sociale, di decadimento qualitativo e privatizzazione dei servizi sociali, di cementificazioni selvagge ( tarate spesso sulle esigenze dei costruttori) si producono senza sollevare eccessivo scandalo. D’altra parte i gruppi dirigenti del centrodestra condividono quelle politiche ed anzi le vorrebbero attuare in misura ancora più drastica.
La esplosione del voto grillino degli anni passati si era alimentata di quote crescenti di malcontento e di stanchezza nei confronti di queste politiche. Quando il voto grillino si è dissolto per effetto delle sue contraddizioni, della sua incapacità di dare uno sbocco al malcontento, come si è visto coi Governi Conte, una parte di quel voto è trasmigrato verso la Lega facendone il primo partito regionale alle Europee del 2019. Ma la Lega, come si è detto, è un partito non solo di protesta populista, bensì anche una forza che ha cercato, finora con un buon successo a livello nazionale, di unire la protesta populista a interessi conservatori molto simili a quelli che al momento in maggioranza, almeno in Emilia Romagna, sono vicini al PD. L’operazione della Lista Bonaccini
è stata pensata proprio guardando a quegli interessi come prova di un atteggiamento non teso a una volontà di egemonia partitica, ma piuttosto di continuità di collaborazione pratica e pragmatica. Questo spiega l’appoggio a Bonaccini della Confindustria regionale e delle principali categorie economiche, in primis delle cooperative. Ma anche dei sindacati, in gran parte contenti di una partecipazione istituzionale al tavolo di un mega patto regionale del lavoro, tanto altisonante nelle dichiarazioni quanto ininfluente sulle aree di lavoro disgregato e umiliato pur presente in tanti settori economici. Basti pensare all’alimentare, alle carni, alla logistica e in generale alle zone basse e decentrate delle filiere del valore internazionali cui pure molte imprese dell’Emilia-Romagna fanno capo. Dunque Bonaccini e il PD si sono fin da subito trincerati sul versante moderato, coprendosi il fianco destro. Sempre su questo versante ha giocato indubbiamente la tradizione di un governo efficiente, consolidato da decenni di esperienza, mentre lo stile di Salvini e la pochezza della sua candidata seminavano consistenti paure di inefficienza e di pericolosa improvvisazione, non certo acquietate dalla idea di importare modelli veneti o lombardi, che offendevano oltretutto un diffuso e robusto sentimento di orgoglio regionale. Il calo dei voti della Lega in confronto alle ultime Europee riproduce, a questo proposito, quanto successe in quelle elezioni in alcune importanti città emiliane in cui si andava contemporaneamente al voto per le comunali. In esse si potè osservare un 5% di elettori votare contemporaneamente Lega per le Europee e i sindaci del centro sinistra per le amministrative.
Ma la vittoria del PD e di Bonaccini va ricercata soprattutto sul terreno della repulsa e della paura del salvinismo. Non delle sue politiche economico-sociali, non dei suoi vaghi programmi amministrativi, ma di quel fondo torbido, sporco anche di tracce fasciste, che esso si tira dietro. Per questo è positivo che sia stato fermato. A chi vedeva dietro Salvini il fascismo incombente, (e il PD ha spinto forte su questo tasto!) in queste settimane io ho cercato di replicare con uno scenario non caricaturato di tinte così catastrofiche, ma pur sempre consapevole di quanto comunque di inaccettabile ci sarebbe stato dentro all’eventuale vittoria della Lega. Secondo me l’attacco più forte della Lega sarebbe stato rivolto agli elementi simbolici e morali che ancora oggi rappresentano i tratti di continuità della storia dell’ER. Penso all’antifascismo, con i mille segni della Resistenza che vivono nel nostro territorio, nonchè nei cuori di centinaia di migliaia di famiglie. Penso al ruolo dell’Anpi che ha più iscritti dello stesso PD. Penso al ruolo dell’Arci e dell’associazionismo cresciuto con l’aiuto delle giunte di centro sinistra. Penso alle associazioni che fanno assistenza vera agli immigrati. Sicuramente una vittoria della Lega avrebbe immesso nelle vene di questa regione dei tratti di incattivimento che non sono tanto legati al populismo recente, ma a quei settori della destra anticomunista che hanno vissuto tutti questi decenni come un dominio dei loro avversari storici. Sarebbe stata la rottura traumatica di una continuità che, per quanto sempre più impallidita, continua a essere vissuta come un valore e anche un fattore di identità regionale.
Questa paura è stata il motore del movimento delle sardine che ha rimesso benzina nella macchina infiacchita del PD portandola al successo, spostando anche gran parte del residuo voto 5 stelle che aveva resistito al parallelo populismo della Lega, perché comunque ancora sensibile a valori democratici disprezzati da quel partito.
Fuori dal PD, alla sua sinistra. il voto ha confermato il deserto, pur di fronte alla tenacia e alla nobiltà delle testimonianze residue. Di fianco al PD, pur sempre alla sua sinistra, la lista dei Coraggiosi è rimasta al di sotto delle precedenti percentuali di LEU. L’unico dato di rilievo è stato l’exploit di Elly Schlein. Ora si tratta di vedere quanto i Coraggiosi potranno condizionare dall’interno la politica di Bonaccini e se le Sardine si accontenteranno di aver contribuito a bloccare Salvini o allargheranno il loro orizzonte
A me la situazione appare al momento povera di prospettive. Resteranno tuttavia aperti tutti i conflitti sociali e ambientali cui hanno dato vita in questi anni e mesi i più vari movimenti politici e sociali. Il problema è analogo sul piano regionale come su quello nazionale
Solo chi riuscirà a unificare questi movimenti, su una chiara piattaforma antiliberista, ecologista e di recupero del ruolo del pubblico, potrà funzionare come grimaldello capace di bloccare la nuova tenaglia bipolarista che incombe sul paese. Un bipolarismo privo di reali contenuti alternativi e portatore di uno scontro ripetitivo e ingannevole, Insomma occorre lavorare a un vero terzo polo!
31 gennaio 2020
Lanfranco Turci