“Ora per i clandestini la pacchia è finita”: così il neo ministro degli Interni e vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, ha presentato il suo biglietto da visita. Poche ore dopo Soumaila Sacko, un immigrato ventinovenne del Mali, padre di una bambina di 5 anni, è stato preso a fucilate e ucciso nelle campagne di San Calogero, in Calabria. Assieme ad altri due connazionali, rimasti feriti, stava prelevando vecchie lamiere arrugginite da una fornace abbandonata. Servivano da ricovero per i suoi compagni africani.
Soumaila era uno dei tantissimi braccianti ingaggiati dai caporali per la raccolta degli agrumi, pagati due euro l’ora in nero e trattati come bestie. Si batteva per conquistare un po’ di rispetto e un salario di almeno tre euro. Era un sindacalista.
Il ministro Salvini, sempre loquace, non ha detto una sola parola per condannare l’accaduto. Anzi, ha provocato un incidente diplomatico accusando la Tunisia di “esportare galeotti”. Silenzio anche da parte degli altri membri del governo.
“Per noi la pacchia non è mai esistita – hanno commentato altri immigrati – siamo lavoratori, italiani, africani, bianchi, neri e gialli. Abbiamo lo stesso sangue e vogliamo gli stessi diritti”. C’è un abisso fra la dignità di queste parole e la volgarità delle dichiarazioni del ministro.
Le parole sono pietre, sempre, ma soprattutto quando si rappresenta il Paese, le sue istituzioni, la sua storia di civiltà. Chi ha alimentato la paura per sfruttarla cinicamente in termini di consenso elettorale deve ora dimostrare di essere all’altezza del ruolo che ricopre. L’inizio non fa ben sperare.
Faenza, 4 giugno 2018
Edward J. Necki
Consigliere comunale e dell’Unione della Romagna Faentina per L’Altra Faenza