Quando l’indifferenza, la sottovalutazione, le giustificazioni più o meno in buona fede, entrano nei cuori e nelle menti delle persone il male lavora indisturbato.
Al mio amico Giorgio Gatta rispondo con un racconto tratto dalla vita della mia famiglia e che mi è stato (per fortuna) tramandato.
Sono nata nel 1942 quando la guerra, voluta da Mussolini, era in pieno svolgimento.
I miei genitori e i miei nonni hanno vissuto il ventennio fascista, da giovani i primi, da adulti i secondi.
I loro racconti hanno potuto fare un quadro generale nella mia mente perché descrivevano la vita di tutti i giorni, le sensazioni che vivevano i cittadini, i discorsi che giravano nei luoghi di ritrovo, l’incapacità di capire appieno quello che stava succedendo.
La mia famiglia è stata testimone dei rastrellamenti, delle incursioni dei tedeschi nelle case dei contadini alla ricerca dei partigiani e degli oppositori che venivano segnalati loro dai fascisti del paese in Toscana dove vivevamo.
Prima della guerra l’escalation della furia fascista, a partire dagli anni Venti, fu assorbita gradualmente dal popolo italiano galvanizzato dall’uomo forte che prende in mano le redini della vita di tutti e ti fa sentire protetto e al sicuro. (Quanto ci costa la sicurezza in libertà, autodeterminazione, creatività, arte, cultura e tutto quello che rende la vita degna di essere vissuta?)
Le gente non si accorse o non volle accorgersi di quello che si andava delineando all’orizzonte, finché non iniziarono a passare i treni merci pieni di deportati nei campi di sterminio.
Fu indifferenza? fu sottovalutazione? fu “Io mi faccio i fatti miei perché voglio vivere tranquillo”? Facciamo decantare, poi ognuno tornerà alla sua vita di sempre come se niente fosse accaduto.
Così arrivarono le leggi razziali nel 1938, gli ebrei furono stanati casa per casa (Salvini: “Se arriverò al governo andrò a prendere i clandestini casa per casa”), ma neanche allora il popolo italiano insorse.
Neanche allora tutti ebbero veramente coscienza di quello che accadeva sotto i loro occhi, soltanto alcuni addetti ai lavori (mio padre lavorava alla stazione ferroviaria di Compiobbi, sulla linea allora Napoli-Roma-Firenze-Bologna-Milano).
E fu così che di notte incominciarono a passare dalla stazione treni bestiame carichi di un’umanità umiliata, divenuta merce di scarto trattata peggio degli animali da buttare al macero.
Quando la storia non viene più raccontata, quando nelle scuole non c’è traccia della storia del ‘900, quando ai giovani non viene trasmessa la memoria, tutto diventa normale o quasi, “Ma sì, in fondo sono solo episodi, abbiamo gli anticorpi, tranquillizziamoci, lasciamo decantare, non alziamo i toni”. Invece dobbiamo alzare barriere di resistenza, far sapere che non resteremo inerti perché la tragedia che è accaduta non si ripeta, dobbiamo essere delle sentinelle della Costituzione repubblicana che ripudia il fascismo, l’antisemitismo e il razzismo in ogni sua forma e manifestazione.
Prima vennero a prendere gli zingari, e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.
Bertolt Brecht