Grazie allo streaming ho seguito i lavori di Art. 1 a Milano. Bene le tracce programmatiche, bene il clima politico che si percepiva.
C'è una questione, tutta politica, che ripropongo a chi abbia la pazienza di leggere.
La ragione strategica per cui, promuovendo Art. 1, abbiamo prodotto uno strappo nel "centro" del quadro politico italiano discende da una analisi non improvvisata, e prefigura un diverso assetto dello stesso panorama politico.
Ovviamente il "noi" è virtuale; semplicemente la dico per come io ho inteso quella decisione, e perché la condivido.
L'orizzonte a cui tendere è quello di una rinnovata coalizione di centro-sinistra, animata da un programma di governo convintamente condiviso dai soggetti politici coalizzati, che si qualifichi per un esercizio di reale democrazia nella scelta dei rappresentanti e delle leadership di governo.
Ma, parafrasando un grande del 900, "non ci si può occupare delle cose ultime, prima delle penultime". Il concetto stesso di centro-sinistra suppone che la dialettica politica si eserciti secondo una modalità sostanzialmente bipolare: centro-sinistra versus centro-destra. Ma oggi questa condizione non sussiste, non più. Ecco il punto di analisi cruciale.
- Innanzitutto il PD, fondato a suo tempo per interpretare la funzione di soggetto centrale di un centro-sinistra di governo, si propone nei fatti (e nelle strategie che persegue) come partito limpidamente centrista. A tutti noi sta a cuore il "popolo" del PD (come a Pisapia), ma le scelte a cui oggi è condotto dal suo gruppo dirigente si qualificano di per sé (a Milano si è detto).
- Esistono poi, e sono molto consistenti, altri due "poli" di aggregazione: il M5S (con tutte le ambivalenze che lo caratterizzano) e la destra (in fase di travaglio organizzativo, ma da non sottovalutare per il consenso che attrae e può ulteriormente attrarre dalle pulsioni sociali più regressive). Poli fra loro irriducibili ad una organica coalizione.
- Esiste inoltre una vasta e multiforme area, molto variegata, di astensionismo, di disillusione, di rifiuto della attuale offerta politica. In parte, ma solo in parte, astensionismo consolidato e ideologico; in grande parte, invece, riconquistabile ad un esercizio attivo della cittadinanza.
- Ed esistiamo, oggi, noi, al pari di altre aggregazioni cultural-politiche autenticamente di sinistra, per i valori che li distinguono, e per gli obiettivi che rivendicano. Sinistra di governo, intendo, non di semplice testimonianza. Discriminante, questa, decisiva e risolutiva per ogni futura eventuale coalizione.
Ora per non confondere, appunto, le cose ultime con le penultime, quale itinerario può condurci da dove siamo all'orizzonte che perseguiamo?
La risposta mi pare evidente: ridare forma, identità, visibilità, linguaggio significante, obiettivi aggreganti, ad una formazione limpidamente di sinistra. Formazione aperta, unitaria, plurale, popolare, di governo. Di sinistra.
Ora è urgente ricostruire la sinistra, i suoi valori, le sue parole. Senza questo passaggio non è possibile immaginare cosa possa essere l'auspicato e futuro, nuovo, centro-sinistra.
La mancata chiarezza su questo punto, perfino sulle definizioni (sinistra / centro-sinistra), rischia di indurre già da oggi incertezze e diffidenze.
Beppe Casadio