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Riforme L’approvazione della nuova legge elettorale, è poi il ragionamento di palazzo Chigi, permetterebbe alla premier Meloni di poter minacciare le elezioni anticipate: esattamente come la riforma costituzionale del premierato stabilisce formalmente

Il premierato di fatto è già tra noi

 

La vicenda Elmasry, il video tribunizio di Giorgia Meloni e la successiva indisponibilità dei ministri a riferire in parlamento, offrono l’interpretazione autentica al dibattito in corso sulla legge elettorale e all’abbandono da parte del governo del progetto sul premierato.

Ed è bene partire proprio da questo passo volendo seguire un filo logico e cronologico. Come ha raccontato il manifesto domenica scorsa, nei giorni precedenti la maggioranza ha iniziato a ragionare su una legge elettorale costruita su un sistema proporzionale, con premio di maggioranza alla coalizione vincente che supera il 40% (oltre al capolista bloccato e le preferenze per gli altri), una riedizione del Porcellum. Perché è emersa ora questa proposta?

La risposta sta nel fatto che la maggior parte dei giuristi ascoltati informalmente dal governo – sia al ministero delle riforme che a palazzo Chigi – hanno fatto osservare che per una carica elettiva monocratica, come appunto quella del presidente del Consiglio, è difficile pensare ad un meccanismo elettorale che non preveda il raggiungimento della maggioranza assoluta, del 50%, con eventuale ballottaggio annesso. Ipotesi questa inizialmente invisa alla Lega, e quindi scartata da tutte le destre, anche per non inserire ulteriori elementi di frizione nella maggioranza. Ed ecco il ragionamento che ha condotto all’idea di abbandonare una complessa riforma costituzionale, per virare su una semplice legge per eleggere il parlamento, per la quale basterebbe la soglia del 40%: a che serve la riforma costituzionale se il premierato lo abbiamo già oggi?

È stata questa la spiegazione che i vertici di Fdi, Fi e Lega, hanno dato martedì – prima della diffusione del video di Meloni – ai propri parlamentari tornati nei palazzi romani dopo che nel fine settimana è partito mediaticamente il dibattito sulla legge elettorale. Il premierato de facto lo abbiamo già: 3,5 decreti al mese (media dell’anno scorso), ricorso costante alla fiducia, la fase degli emendamenti durante l’esame in parlamento usata come prolungamento del Consiglio dei ministri (i singoli ministri fanno presentare ai gruppi di riferimento le proprie norme che non sono riusciti a far approvare al tavolo del governo); addirittura divieto ai deputati di presentare emendamenti alle riforme costituzionali (così la camera non ha potuto presentare proposte di modifica a premierato e autonomia in seconda lettura e addirittura anche alla separazione delle carriere in prima lettura).

L’approvazione della nuova legge elettorale, è poi il ragionamento di palazzo Chigi, permetterebbe alla premier Meloni di poter minacciare le elezioni anticipate: esattamente come la riforma costituzionale del premierato stabilisce formalmente.

Poi martedì a metà pomeriggio ecco il video di Meloni, che ci illustra come lei intende il premierato. Esautoramento delle camere e appello diretto al popolo che ne legittima la carica. Sulla vicenda Elmasry il governo non è tenuto a riferire in parlamento i fatti (tanto è vero che ieri Nordio e Piantedosi per ritorsione non si sono presentati all’informativa a Montecitorio); è sufficiente narrare al popolo la propria versione: esautorando quindi gli altri due poteri di controllo, cioè magistratura e stampa.

Narrare, e non riferire, perché la narrazione può prescindere dai fatti. Lo sfondo azzurro di questo curatissimo video privato ricorda l’azzurro della sala stampa di palazzo Chigi, l’azzurro istituzionale, così da traslare una comunicazione di propaganda politica privata in una comunicazione istituzionale. Eccolo il premierato. Anzi no, il tribunato.