La storia di un uomo che dopo il licenziamento lavora con contratti a chiamata: 3-4 euro l’ora, turni massacranti e sempre sotto ricatto
Fabio Fiorani/Sintesi
Achille ha 50 anni, è diplomato e dopo essere stato licenziato dal 2018 non riesce a trovare un lavoro vero, un tempo indeterminato con i contributi, la malattia, le tutele. Da sei anni va avanti con contratti intermittenti. In pratica lavora a gettone: lo chiamano, anche poche ore prima del servizio, e lui deve correre, altrimenti poi non lo chiamano più.
“Quanto mi pagano? 3-4 euro l’ora. Una miseria, per stare dodici ore in piedi, fermo, sotto il sole o fino all’una di notte”, racconta nella lettera che ha mandato a Collettiva per spiegare le storture di un sistema che vive in prima persona, sulla sua pelle.
Achille (ma il nome è di fantasia) è un precario addetto alla sicurezza agli eventi, ai concerti, allo stadio, di solito a Milano. Non ha sabati, domeniche, festivi, straordinari, nel senso che lavora anche in quei giorni ma non gli viene riconosciuta nessuna maggiorazione.
“I festivi mi vengono retribuiti come giornate normali – aggiunge –. Se mi fanno lavorare tutto il mese, tiro su 1.200 euro al massimo, ma non sempre ci arrivo. Anche perché vivo nella provincia di Como e quando mi chiamano per un servizio a Milano, 30 euro li guadagno ma 15 li spendo di benzina. Fatevi due conti su quanto mi resta in mano”.
Il contratto intermittente prevede pochi diritti e poche tutele. “Ho subìto un infortunio sul lavoro che sono riuscito a farmi riconoscere, anche se con non poche difficoltà – spiega –. Poi però la convalescenza è stata lunga, e dopo lo stop mi hanno scartato perché ho rifiutato diverse volte di fare servizio. Le condizioni comunque sono terribili. Garantire la sicurezza a un evento significa stare piantonato a un ingresso o in determinate aree anche per 12 ore di seguito. E se l’acqua e il cibo non te li porti da casa, nessuno te li fornisce. Una volta mi sono seduto perché ero stanco, faceva caldo e non c’era nessuno. Per questo mi hanno ripreso e mi sono arrabbiato. Se devo lavorare come un animale, me ne vado, gli ho detto. Sapete che cosa mi ha risposto il responsabile? Non te ne puoi andare, hai firmato un contratto e finché non hai finito resti qua. Un ricatto bello e buono”.
Achille ci confessa che ha mandato più di mille curriculum per tante posizioni diverse – addetto alle pulizie, sicurezza, magazziniere, impiegato – è riuscito a fare solo 4 o 5 colloqui, ma non sono andati bene.
“Questa è la mia storia, non c’è niente di inventato – conclude –. Sono un precario, convivo con la mia compagna ma non abbiamo figli. Come fai a pensare al futuro? È vergognoso che nel ventunesimo secolo ci siano realtà come questa, persone come me in queste condizioni, che a ben guardare non sono poi così lontane da quelle dei migranti che raccolgono i pomodori nei campi”.