Un’analisi della Cgil dimostra come Meloni faccia un uso di parte delle risorse del Pnrr. Procedure e risultati opachi, costi a fisarmonica, penalizzato il Sud
Fabio Fiorani/Sintesi
Le risorse europee destinate all’Italia per finanziare il Pnrr sono quasi – come si sa - 200 miliardi, tanti davvero ma per una ragione precisa: il Belpaese è quello in Europa con i divari maggiori, allora servono molti soldi perché quei divari devono essere ridotti. A cominciare da quelli territoriali, oltre che quelli di genere e generazionali. Non è un caso allora che nel Piano originario furono inseriti un paio di vincoli: il 40 per cento dei finanziamenti al Sud, il 30 per cento dei posti di lavoro generati dai progetti riservati alle donne. Peccato che il governo di destra quei vincoli proprio non li condivida e non li sopporta. Ma anziché dirlo apertamente li disattende surrettiziamente.
INCENTIVI AMBIENTALI AL NORD
L’area Politiche dello sviluppo della Cgil ha elaborato uno studio sull’implementazione del cronoprogramma dei lavori finanziati con l’Ecobonus. “Rafforzamento dell’Ecobonus per l’efficienza energetica” è il titolo dell’investimento previsto dalla Missione 2 del Piano di ripresa e resilienza, l’obiettivo importante: ridurre di almeno il 40 per cento il consumo di energie e il miglioramento di due classi energetiche degli edifici residenziali. Una missione che tiene insieme piani diversi, innanzitutto la transizione ambientale, poi l’attenzione al clima, infine l’ammodernamento degli immobili utilizzando risorse pubbliche.
POLEMICHE ANTI-EUROPEE SBAGLIATE
La campagna elettorale per le europee è finita, ma gli attacchi della Lega e non solo alle politiche green dell’Europa no. Proprio questa Missione sta a dimostrare come quegli attacchi e quelle polemiche sia infondate, basterebbe spendere bene le risorse. Magari rimanendo allo spirito del Piano, quello della riduzione dei divari, più investimenti al Sud, e magari più investimenti a favore di quegli edifici di residenzialità pubblica e situati nelle periferie, urbane e non.
LE FONTI AUTOREVOLI
Luigi Caramia, responsabile Pnrr della Cgil, si è affidato esclusivamente a fondi ufficiali e non contestabili: la pubblicazione del ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) dell’elenco dei finanziamenti a carico del Piano nazionale di ripresa e resilienza relativi all’investimento 2.1. La fonte, quindi, è il governo e non possiamo che considerarla veritiera e autorevole. E siccome i numeri non mentono, quel che viene fuori è davvero assai poco coerente con i principi del Pnrr.
UNA MALATTIA CHE VIENE DA LONTANO
Il punto è che le anomalie di spesa che si trovano in questa missione, sono probabilmente trasversali e tutto il Pnrr. La prima riflessione di Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil, leggendo lo studio è precisa e impietosa: “I dati ufficiali sull’utilizzo della quasi totalità delle risorse del Pnrr per finanziare gli interventi dell’Ecobonus con detrazione al 110%, sono esemplari delle patologie che si stanno manifestando nell’attuazione del Piano. Come più volte denunciato dalla Cgil – aggiunge il segretario - i criteri di scelta degli interventi finanziati, con particolare riferimento a quelli che sostituiscono le risorse nazionali (cosiddetti progetti in essere), risultano opachi se non completamente oscuri”.
L’ECOBONUS
Facciamo un passo indietro: le risorse dedicate dal Pnrr all’efficientamento energetico attraverso l’Ecobonus al 110% sono 13,95 miliardi di euro, di cui 10,255 miliardi sono a coperture di progetti in essere e quindi sostitutivi di risorse nazionali già stanziate. L’obiettivo è duplice: da un lato contribuire in misura significativa agli obiettivi di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni fissati dal Piano nazionale integrato per l'energia e il clima dell'Italia per il 2030; dall’altro fornire un sostegno anticiclico al settore delle costruzioni e alla domanda privata per compensare gli effetti della flessione dell'economia.
IL TRADIMENTO DEL PNRR
Leggendo i numeri il tradimento è chiaro: i progetti finanziati sono 60.755. Le risorse complessivamente utilizzate sono pari a 13,726 miliardi di euro. Di queste poco meno di 3,617 miliardi di euro sono state spese nelle otto regioni del Mezzogiorno, ben al di sotto della soglia del 40% prevista dagli obbiettivi del Pnrr. I metri quadri oggetto di intervento sono oltre 17,5 milioni. Ma se oltre ai numeri assoluti si guardano i dettagli si scopre che in Lombardia e Veneto si spende quanto in tutto il Mezzogiorno: nella regione guidata da Fontana oltre due miliardi e 900milioni, in quella retta da Zaia quasi 1 miliardo e 600 milioni. Sarà un caso?
NON È UN CASO
Nulla accade se i partiti di governo non vogliono. Alla faccia della necessità di aumentare i poteri con l’Autonomia differenziata e il premierato. Nella distribuzione assai squilibrata di queste risorse l’impronta leghista è fortissima. Aggiunge Ferrari: “La quota destinata al Mezzogiorno, appena il 26%, è largamente inferiore a quella che il Pnrr dovrebbe ordinariamente destinare a quei territori. Le differenze dei costi medi, poi, per metri quadri appaiono in molti casi inspiegabili e potrebbero essere oggetto di severi controlli ex post”.
LA CONOSCENZA È POTERE
Vi è un secondo tradimento: quello della trasparenza e della partecipazione degli attori sociali alla governance e alle decisioni del Piano. Insomma, un tradimento alla democrazia. Afferma il dirigente sindacale: “Nessuna informazione viene fornita rispetto all’effettivo raggiungimento, per ogni intervento, dell’obiettivo del risparmio di energia primaria di almeno il 40%, a fronte anche di varie procedure di infrazione attivate dall’Ue in tema di qualità dell’aria. Viene inoltre del tutto ignorato il tema della salute e sicurezza dei lavoratori delle imprese che hanno effettuato gli interventi di efficientamento energetico, sul quale non risulta alcuna verifica”.
MANCANZA DI VISIONE
Con quei soldi cosa è stato finanziato? Si son fatti cappotti ai palazzi o si è provveduto a quel che l’economista Jeremy Rifkin sosteneva necessario già oltre un decennio fa, cioè dotare ogni edificio, a partire da quelli pubblici, di pannelli fotovoltaici o altri impianti di autoproduzione da fonti rinnovabili? Difficile a dirsi, ma pare proprio di no. Il segretario della Cgil aggiunge: “Abbiamo sempre sostenuto la necessità di finanziare gli interventi relativi alle migliori prestazioni; di prevedere l’obbligo, ove possibile, di installare impianti per l’autoproduzione da fonti rinnovabili, di introdurre criteri di equità, fondamentali per sostenere prioritariamente e in modo pieno gli interventi sul patrimonio di edilizia residenziale pubblica e a favore di coloro che altrimenti non sarebbero stati in grado di realizzarli”.
QUEL TRATTO DI PENNA CHE CANCELLA
Forse Ecobonus al 110% è troppo costoso. Forse si poteva rimodularlo, magari riducendo la percentuale e introducendo vincoli stringenti. E invece no, il decreto legge 39/24, sistemati gli edifici delle regioni del Nord, cancella l’Ecobonus e per di più il decreto Pnrr quater prevede venga fatta immediatamente una ricognizione sullo stato di avanzamento degli investimenti; se si trovano progetti per i quali non sono state assunte obbligazioni giuridicamente vincolanti, sono “definanziati”, tradotto anch’essi cancellati, e le relative recuperate saranno utilizzate per coprire i tagli al Fondo per lo sviluppo e la coesione, in caso di ulteriore avanzo per coprire i tagli ai ministeri. E la coerenza con gli obiettivi di Nex Generation Eu e del Pnrr viene definitivamente picconata.
LO STATO SONO IO
Meloni ha davvero un’idea proprietaria dello Stato, e antica del governare. “Faccio io, decido io”. È l’idea nemmeno troppo nascosta che ispira il premierato, vengo eletta e per cinque anni faccio quel veglio senza dover rendere conto ne mediare con nessuno. Anche nella gestione del Pnrr è questo il principio ispiratore, conclude quindi Ferrari: “Si conferma l’idea del governo Meloni di utilizzare il Pnrr come uno strumento di parte e non come un’opportunità per l’intero Paese. Una scelta che rischia di far naufragare l’intero Piano, o quanto meno di ridurne pesantemente gli aspetti positivi sulla crescita del Paese (che deve essere ambientalmente e socialmente sostenibile) e sul miglioramento delle condizioni di vita e lavoro dei cittadini, proprio nel momento in cui si entra nella fase più intensa e complessa della sua attuazione”.