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La strada dell'atomo tracciata dal governo non è realistica e rischia di sottrarre risorse a soluzioni più efficaci, spiegano in una lettera aperta i docenti universitari e i ricercatori del gruppo Energia per l'Italia.

 

 

 

 

È indispensabile rivedere gli scenari proposti nel Pniec che prevedono l’impiego del nucleare, perché tali ipotesi, oltre a essere palesemente irrealizzabili, sottrarrebbero importanti risorse all’obiettivo della decarbonizzazione per il nostro Paese.

Questo l’appello lanciato in una lettera aperta da Energia per l’Italia, gruppo di docenti e ricercatori di Università e Centri di ricerca impegnati sui temi della transizione energetica.

La premessa è lo scenario che il governo ha tracciato nel Pniec, secondo il quale il nostro Paese potrebbe produrre il 20% del fabbisogno della sua energia elettrica al 2050 tramite nucleare, 140 TWh, nello specifico con SMR (Small Modular Reactors).

Ottenere questo quantitativo – si spiega nella lettera di Energia per l’Italia – richiederebbe l’installazione di almeno 17,5 GW di potenza ipotizzando che ciascun GW possa fornire 8 TWh. Questo corrisponde a un numero che varia da 11 a 18 reattori tradizionali di potenza 1-1,6 GW ciascuno.

Con l’opzione SMR, che è quella indicata, ipotizzando potenze di 100-300 MW il numero di reattori da installare potrebbe andare da 58 a 175.

Questo numero così elevato di reattori, ciascuno dei quali richiederebbe uno specifico e molto complesso processo autorizzativo, dovrebbe essere installato entro il 2050. Va detto che il Pniec comprende anche uno scenario più moderato, con “soli” 8 GW di potenza atomica a metà secolo, ma questo non cambia la sostanza.

In alcune dichiarazioni del 25 giugno 2024 il ministro ha parlato di un “10-11% di produzione elettrica da nucleare” entro il 2030, cioè tra solo sei anni, mentre il Pniec inviato a Bruxelles ipotizza, in uno degli scenari, 0,4 GW installati al 2035.

Per dare una dimensione, dall’inizio del millennio la nuova potenza installata nell’intera Unione europea è di soli 3,2 GW (due soli reattori da 1,6 GW), ipotizzando che il reattore di Flamanville 3 possa essere avviato entro il 2024, ricorda l’appello di Energia per l’Italia.

“Potrà realisticamente il nostro Paese da solo avviare nei prossimi 25 anni una quantità di potenza nucleare che è cinque volte tutta quella installata nell’intera Unione europea negli ultimi 25 anni? E può farlo utilizzando una tecnologia come quella degli SMR che è ancora embrionale?”, si chiede il gruppo di ricercatori.

Il termine “modular” implica una produzione in serie, ma al momento siamo ancora a livello di prototipi: non è possibile prevedere se da questi prototipi si possa effettivamente giungere a una produzione su vasta scala.

Inoltre, il nostro Paese ha ormai perso buona parte delle competenze tecnico-ingegneristiche per costruire nuovi reattori nucleari. E purtroppo, da decenni, non riesce nemmeno a individuare un sito ove costruire il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. Quanto altro tempo passerà solo per indicare un numero elevato di siti per le nuove centrali nucleari?

Mentre nel mondo l’installazione di nuova potenza nucleare procede a rilento e nel 2023 è calata di circa 0,6 GW a causa dei reattori dismessi, quella di fonti rinnovabili come eolico e fotovoltaico nello stesso anno è aumentata di ben 510 GW, prosegue l’appello.

Oggi le tecnologie di accumulo (chimico e gravitazionale) sono in grande crescita. I nuovi progressi tecnologici possono avere uno sviluppo significativo in tempi molto brevi. Ad esempio la Cina, che nel 2008 produceva energia elettrica da fotovoltaico per soli 100 TWh, in 15 anni è arrivata a produrne ben 580 TWh (dato 2023), sorpassando la produzione da nucleare (437 TWh), di cui al momento è leader mondiale.

Sicuramente le innovazioni tecnologiche introdotte con i reattori di nuova generazione sono interessanti. Tuttavia, si tratta di soluzioni note già dagli anni ’50 (reattori raffreddati a metalli fusi come sodio, piombo o la miscela eutettica piombo-bismuto) e che finora non hanno visto uno sviluppo significativo al di là dei prototipi. “Appare difficile che questo sviluppo possa avvenire nei tempi brevi richiesti per la transizione ecologica”, osserva Energia per l’Italia.

Secondo i modelli sviluppati dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) per avere una possibilità di limitare il riscaldamento globale entro 1,5 °C è necessario che a livello mondiale si raggiunga il picco delle emissioni di CO2 entro il 2025, si attui una riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030, si arrivi allo “zero netto” entro il 2050.

“È impossibile che il nucleare nel nostro Paese possa contribuire ai primi due obiettivi e appare molto difficile che possa dare un contributo significativo al raggiungimento del terzo, soprattutto se si scegliesse una soluzione che di fatto non esiste ancora nel mondo dal punto di vista commerciale come gli SMR”, si legge nella lettera.

“Riteniamo – conclude l’appello – che l’intero comparto della ricerca debba ricevere finanziamenti adeguati, incluso quello sul nucleare, area che ha importanti applicazioni ad esempio in campo medico. Tuttavia, è necessaria una netta distinzione tra ricerca e soluzioni tecnologicamente affermate: un ritorno all’energia nucleare in Italia non potrebbe fornire un contributo significativo alla decarbonizzazione del nostro sistema elettrico, né nel breve periodo e nemmeno in tempi più lunghi”.