Firmate intese sul fondo “loss and damage” e sull’agricoltura sostenibile. Testi che definire memorabili sembra esagerato, ecco perché
Il primo giorno della conferenza (30 novembre) è stato trovato un accordo “storico” per rendere operativo il fondo loss and damage (perdite e danni) per assistere i Paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. Il fondo sarà gestito e supervisionato da un board e amministrato dalla Banca Mondiale.
Gli Emirati arabi uniti hanno annunciato un impegno di 100 milioni di dollari per il fondo, stessa cifra la Germania, 40 milioni il Regno Unito, 10 milioni l’impegno del Giappone e 17.5 quello degli Usa. Si tratta di impegni assunti volontariamente, e la cifra raggiunta è abbastanza ridicola. Basti pensare, per fare una paragone, che l’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna ha causato, da sola, oltre 10 miliardi di danni.
È senz’altro positivo che sia stato trovato un accordo per rendere operativo il fondo, ma chiamarlo storico ci sembra esagerato. Le risorse sono poche e restano dubbi su come saranno utilizzate. Il ruolo della Banca Mondiale non rassicura. Non è solo un problema di risorse, ma anche di come saranno spese e su quali progetti
L’accordo non assicura che verranno decisi democraticamente coinvolgendo le comunità locali, le popolazioni indigene e tribali, i lavoratori e i sindacati, che nella realizzazione dei progetti saranno garantiti i diritti umani, i diritti dei lavoratori, dei migranti, delle persone marginalizzate, che saranno attivate politiche di giusta transizione, ridotti i divari di genere e generazionali.
Secondo giorno (1° dicembre): viene firmata da 134 Paesi, fra cui l’Italia, la dichiarazione su agricoltura sostenibile, sistema alimentare resiliente e azione per il clima.
Anche questa definita “storica” perché per la prima volta in una dichiarazione Cop sancisce la connessione fra cibo e cambiamento climatico e assume la necessità di coinvolgere anche il cibo e il settore agricolo nel contrasto al cambiamento climatico.
Certo, se è sufficiente la primogenitura per guadagnarsi l’appellativo di storico, allora non possiamo dire niente. Ma ci sarebbe piaciuto leggere, oltre alle belle promesse, anche qualche impegno su come realizzare una sicurezza alimentare inclusiva, sulla riduzione degli allevamenti intensivi, sulla promozione di un’alimentazione a base vegetale, per ridurre l’utilizzo dei pesticidi e preservare i semi e la biodiversità, per fermare la deforestazione.