Forniture record - 10 miliardi di metri cubi esportati nel 2022 - e concessioni redditizie, Tel Aviv sempre più partner strategico per sostituire la Russia. Ue in ansia per gli effetti del conflitto ma sorda di fronte al massacro. Italia in campo con le sue corporation
Piattaforma del giacimento offshore di Leviathan, nel Mediterraneo - Ap
«Israele ha il diritto di difendersi». A un mese dall’attacco terroristico di Hamas, e della brutale risposta di Israele, così si è espressa la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen nel suo discorso alla conferenza degli ambasciatori europei. L’Ue non si unisce all’appello globale per il cessate il fuoco e rimane sorda davanti a un massacro di civili senza precedenti.
Nella complessa dinamica geopolitica della regione, il tema dell’energia, e del gas in particolare, ha sicuramente un suo peso.
Dalla risposta europea all’invasione russa dell’Ucraina, contenuta nel pacchetto RePowerEU, Israele è diventato uno dei partner strategici per la sicurezza energetica europea. Una partnership che si è rinsaldata nell’ultimo anno, in primis con la firma di un accordo trilaterale tra Ue, Egitto e Israele che impegna Tel Aviv a vendere all’Ue il gas dei giacimenti offshore di Leviathan e Tamar, passando dai terminal Gol egiziani. Pochi mesi dopo la firma dell’accordo, il primo ministro israeliano Yair Lapid, in visita a Berlino, ha confermato che l’obiettivo del suo Paese era sostituire fino al 10% delle importazioni di gas dell’Ue dalla Russia.
Nel 2022, Israele ha esportato circa 10 miliardi di metri cubi di gas, di cui buona parte verso il mercato europeo.
L’infrastruttura strategica per veicolare il gas verso i terminal egiziani di Damietta e Idku è il gasdotto Ashkelon-Al Arish, un tubo di 90 chilometri che attraversa il confine tra i due paesi via mare passando proprio davanti alla striscia di Gaza e di fatto bypassandola. Ma per raggiungere l’obiettivo di esportare almeno 15 miliardi di metri cubi all’anno, a maggio di quest’anno Israele ha messo in campo la costruzione di un secondo gasdotto verso l’Egitto, lungo 65 chilometri, che parte da Ramat Hovat a sud di Beersheva, passando da Ashalim e fino a Nitzana, al confine con l’Egitto. Il nuovo tubo dovrebbe permettere l’esportazione di ulteriori 6 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
Nello stesso periodo, l’esecutivo israeliano ha anche aperto un bando per 12 nuove concessioni di esplorazione di gas offshore, 6 delle quali, relative a giacimenti confinanti con il mega giacimento di Leviathan, sono state assegnate a fine ottobre a un consorzio guidato dall’italiana Eni. Così il cane a sei zampe, già presente nel mega giacimento egiziano di Zohr e con il controllo del terminal di liquefazione di Damietta, aumenta la propria presenza in una delle aree più strategiche nella mappa energetica ai confini dell’Ue. Ma un piede nel paese l’Eni lo aveva già messo a ottobre dello scorso anno, quando la mediazione della diplomazia statunitense ha aiutato a risolvere la controversia sulle concessioni tra Libano e Israele, permettendo a Eni e alla francese Total di iniziare a esplorare.
Eni non è l’unica corporation italiana a essere di casa nel mercato del gas israeliano: dal 2021 Snam controlla il 25% della East Mediterranean Gas Company, la società dalla struttura societaria opaca che controlla proprio il gasdotto Ashkelon-Al Arish. L’evoluzione della guerra tra Israele e Hamas preoccupa von der Leyen, così come il governo Meloni, anche per un altro motivo: ciascuno dei paesi “fornitori” di gas parte del Piano Mattei ha una posizione propria sul conflitto in corso, non sempre allineata con quella pro Israele dell’Ue.
Pochi giorni fa, l’Egitto ha “alzato le mani” rispetto alle quantità di gas liquido che potrà esportare verso il mercato europeo: con lo stop per ragioni di sicurezza delle estrazioni dal giacimento di Tamar deciso dopo l’attentato di Hamas, in quanto situato poco a nord di Gaza, il governo egiziano ha visto ridursi le importazioni di gas da Israele e a caduta anche l’export potrebbe diminuire. Tra aumenti dei prezzi, speculazione e instabilità è difficile prevedere cosa succederà nei prossimi mesi. Al di là di questo elemento, è però evidente che anche questo conflitto, come altri recenti, ha un forte legame con il gas fossile, i cui proventi vengono spesso e volentieri investiti in armamenti e apparati di sicurezza.
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