Nell'Electricity Market Report 2023 le considerazioni dell’Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano sulla nuova bozza del Pniec e su tutte le sfide che il nostro sistema elettrico deve affrontare
L’instabilità geo-politica ha ridato centralità agli obiettivi di sicurezza energetica e di competitività dei prezzi dell’energia, accanto alla consapevolezza che sarà necessaria una ristrutturazione significativa del sistema elettrico, già in forte evoluzione in Italia e obbligato ad accelerare la trasformazione per traguardare i target sempre più stringenti indicati dalla bozza del nuovo Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec).
Stando ai dati presentati dall’Electricity Market Report 2023 redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, la situazione a oggi rivela l’immaturità del nostro Paese rispetto agli obiettivi posti sia per il 2030 che per il 2050: entro otto anni, infatti, dovremo tagliare le emissioni per più del 24% a fronte di un consumo finale lordo di energia ridotto del 12% e soddisfatto per una percentuale doppia, rispetto all’attuale, da fonti rinnovabili. Questo con una domanda di energia elettrica prevista in aumento del 6%.
La bozza della nuova versione del Pniec prevede un significativo innalzamento anche rispetto alla capacità di generazione da rinnovabile (+40% circa), mentre l’unico valore che decresce rispetto alla versione precedente del Piano riguarda la capacità installata di elettrolizzatori per la produzione di idrogeno verde, da 5 a 3 GW. Non sono stati definiti, invece, obiettivi espliciti in termini di capacità di accumulo necessaria per accompagnare la trasformazione del sistema elettrico: l’edizione del 2019 parlava di circa 10 GW (tra centralizzati e distribuiti).
La continua revisione delle politiche energetiche e ambientali europee (“Fit-for-55”, “RepowerEU” e il nuovo “Green Deal Industrial Plan”), anche in risposta alla complessa situazione geopolitica, ha prodotto la proposta di revisione del market design da parte della Commissione europea, che ambisce a rendere il mercato elettrico maggiormente integrato, decarbonizzato e capace di far fronte ad eventuali emergenze energetiche future, riducendo il livello di rischio legato all’instabilità dei prezzi e definendo, per ciascuno Stato membro, obiettivi in termini di fabbisogno di flessibilità del sistema e di risorse deputate ad assicurarlo, prosegue il report dell’E&S G.
Fra gli strumenti identificati ci sono la riforma dei forward market, un maggiore supporto alle rinnovabili (attraverso PPA e Contract for Difference a due vie) e la realizzazione di meccanismi di flessibilità della rete. I forward market sono importanti strumenti di protezione dei consumatori dalla volatilità dei prezzi dell’energia: la Commissione propone la creazione di virtual hub che amplino il perimetro geografico di negoziazione dei contratti, allo scopo di aumentare la liquidità dei mercati e quindi la loro efficacia.
Tuttavia, spiegano gli analisti dell’Energy & Strategy Group, tale formulazione non è stata accolta con favore unanime dagli operatori, soprattutto perché il meccanismo proposto comporterebbe la formazione di prezzi all’interno degli hub non indicizzati ai prezzi nazionali, generando la necessità di istituire un meccanismo ad hoc per consentire di effettuare le negoziazioni.
Il crescente impatto delle Fer sul sistema elettrico
L’integrazione crescente delle rinnovabili sta progressivamente trasformando il sistema elettrico, ponendo nuove sfide da superare come la non programmabilità delle Fer, il posizionamento degli impianti rispetto ai punti di consumo e la diffusione della generazione distribuita.
In Italia, la potenza complessiva installata è aumentata lentamente negli ultimi anni e a fine 2022 risultava pari a circa 64 GW (+5% rispetto al 2021). La capacità di generazione termoelettrica, invece, si è assestata sui 60 GW. L’affermarsi delle Fer ha determinato l’aumento della quota di energia prodotta al Sud e di quella da generazione distribuita: a fine 2022 il 36% della potenza installata proveniva da fonte non programmabile e il Sud e le isole rappresentavano il 40% della potenza installata totale.
L’Europa cerca di chiudere un circolo virtuoso per le Fer
Una delle principali barriere agli investimenti in impianti a fonte rinnovabile è rappresentata, ad oggi, dall’incertezza sui ricavi futuri. La Commissione Europea individua una possibile soluzione nei Power Purchase Agreement (PPA) e nei Contract-for-Difference (CfD) a due vie, introducendo, nel primo caso, strumenti finanziari statali per schermare i produttori dal rischio di insolvenza degli acquirenti. Perché questi contratti riescano effettivamente a decollare in Italia, però, è necessario utilizzare diverse leve attraverso un approccio coordinato.
Nel contesto italiano i CfD a due vie sono da tempo impiegati come strumento di sostegno all’investimento in impianti Fer, tramite aste competitive dedicate. Tuttavia, con il susseguirsi dei bandi, si è registrato un progressivo calo nelle partecipazioni. Perché i CfD riescano ad apportare i benefici attesi è fondamentale che queste aste guadagnino nuovamente efficacia attraverso una burocrazia più snella e una maggiore capacità di programmazione degli investimenti da parte degli operatori, spiegano i ricercatori del Politecnico.
I risultati del progetto pilota UVAM: potenzialità, rischi e incertezza futura
L’aumento della generazione da fonti rinnovabili e distribuite, accompagnato da una riduzione della percentuale di elettricità prodotta da fonti programmabili, ha portato all’avvio del progetto pilota UVAM, che intende valutare l’effettiva capacità dei BSP (Balancing Service Provider) e delle risorse distribuite di piccola taglia di fornire servizi ancillari in forma aggregata. Negli ultimi due anni, però, il numero di UVAM abilitate è diminuito di circa un quarto (a settembre 2023 erano 208) a causa del mancato superamento, da parte di un numero non trascurabile di esse, dei test di affidabilità a cui sono state sottoposte. Anche la partecipazione delle UVAM alle aste di approvvigionamento ha subito una contrazione, rileva il rapporto.
Il Testo Integrato del Dispacciamento Elettrico (TIDE) intende completare il processo di innovazione innescato dalle Deliberazione 300 del 2017 e integrare nel quadro generale del dispacciamento la regolazione sperimentata nei progetti pilota, includendo l’ampliamento dei soggetti che possono offrire servizi ancillari e l’istituzionalizzazione dei ruoli di BSP e BRP (utente del dispacciamento). Inoltre, i criteri contenuti nel TIDE comporteranno un significativo sforzo di revisione dei modelli di rete e degli algoritmi applicati da Terna nell’ambito del dispacciamento. Secondo gli operatori, il Testo Integrato del Dispacciamento Elettrico apre numerose opportunità e rappresenta uno strumento abilitante, ma per valutarne l’effettivo impatto è necessario comprendere come sarà declinato nel Codice di Rete. Inoltre, sarebbe utile che l’Autorità fornisse ulteriori chiarimenti.
Comunità energetiche rinnovabili a rilento: il ritardo normativo è causa di disillusione sul mercato
Ad oggi in Italia sono presenti circa 85 configurazioni in autoconsumo collettivo: 61 gruppi di autoconsumatori e 24 comunità di energia. Considerando le iniziative ancora in fase progettuale, il totale raggiunge 198 iniziative, 6 volte di più rispetto alle 33 mappate nel 2021 ma notevolmente al di sotto delle stime attese, in primo luogo a causa del ritardo normativo.
Con la delibera 727/2022/R/eel, infatti, è stato completato il quadro regolatorio, ma la normativa sulle Comunità energetiche risulta incompleta, in particolare per quanto riguarda il decreto Mase, che definisce i meccanismi di incentivazione. I progetti ad oggi sono stati realizzati in larga maggioranza nel Nord Italia, fatta eccezione per la Sicilia, e promossi principalmente dai Comuni tramite fondi nazionali ed europei. La taglia degli impianti è eterogenea, in genere nell’ordine di qualche decina di kW.
Le comunità energetiche come nuova opportunità per la diffusione delle Fer, e non solo
La partecipazione a una comunità energetica rappresenta una buona opportunità per i consumatori, sia per chi non ha la possibilità di installare un impianto rinnovabile per l’autoconsumo, sia per chi invece può condividere la sua energia in eccesso, massimizzando i ricavi. Nel rapporto viene anche effettuato un confronto tra iniziative di piccole dimensioni, dedicate a utenti residenziali, e quelle di taglia maggiore rivolte a utenti industriali.
Come emerso dalla mappatura, tra i progetti attualmente realizzati le prime iniziative osservate in Italia riguardano comunità energetiche formate da utenti residenziali, mentre le PMI ancora non sono coinvolte in maniera diffusa, soprattutto a causa delle norme transitorie definite dal Decreto Milleproproghe. Terminato l’iter per ampliare il perimetro delle comunità energetiche, ci si può attendere l’arrivo di utenti di grandi dimensioni e di impianti che potrebbero raggiungere 1 MW di taglia.
Mercato potenziale e prossimi obiettivi: che cosa aspettarsi?
Gli incentivi stabiliti nella nuova proposta del decreto MASE del 23 Febbraio 2023, insieme ai fondi stanziati dal PNRR (2,2 miliardi di euro in conto capitale destinati ai Comuni sotto i 5.000 abitanti), permetterebbero di installare una potenza rinnovabile – a partire da quella fotovoltaica – pari a circa 7 GW in 5 anni, un obiettivo decisamente sfidante se paragonato alla situazione corrente e ai target mancati fino ad ora. Tuttavia, nonostante ad oggi le configurazioni già in fase operativa siano limitate, appare evidente la volontà di cogliere questa nuova opportunità per clienti finali e imprese.
Incertezza e ritardi normativi, barriere culturali, difficoltà di gestione e impegno economico potrebbero porre un freno alle iniziative, mentre i risvolti sociali ed ambientali, l’affermarsi del concetto di comunità e la semplicità tecnologica continuano a spingere per una crescente espansione