La Regione Emilia-Romagna ed il Governo la smettano di investire denaro in opere autostradali o nel rigassificatore e si occupino di sicurezza del territorio.
Retorica allarmista fuori luogo: le mappe alluvionali di ADBPO e i report sul dissesto idrogeologico di ARPAE parlavano chiaro.
Legambiente da tempo denuncia quanto sta accadendo nel nostro Paese ed ha diffuso i nuovi dati della mappa del rischio climatico, nell’ambito dell’Osservatorio CittàClima. A preoccupare è anche il dato complessivo degli ultimi anni: dal 2010 a oggi, nella nostra penisola si sono verificati 1638 eventi estremi. Gli impatti più rilevanti si sono registrati in 843 comuni italiani.
Eventi come quelli avvenuti negli ultimi giorni stanno diventando sempre più intensi e violenti a causa del riscaldamento globale e l’Italia è uno dei paesi più esposti e vulnerabili.
Dispiace constatare ancora una volta che il disastro a cui abbiamo assistito era ed è annunciato da tempo. L’allarme siccità, la fragilità idraulica a cui si aggiunge lo scellerato consumo di suolo oggi ci mettono davanti al fatto che la nostra Regione continua a perdere tempo senza realizzare le misure necessarie all’adattamento alla crisi climatica.
Nonostante da anni la scienza parli di cambiamento climatico e quali effetti esso avrà sul nostro futuro, qualcuno continua a chiamarlo maltempo o altri addirittura arrivano a paragonarlo ad un evento imprevedibile come un terremoto. Sono invece evidenti le responsabilità sia della classe politica, che a parte gli annunci non ha evidentemente colto il significato di “emergenza climatica” e del carattere estremo degli eventi che essa può produrre (che in futuro potrebbero essere addirittura più intensi di quelli a cui abbiamo assistito), sia del sistema economico che non sta compiendo la transizione ecologica nei tempi indicati dalla scienza, spesso in assenza di indicazioni chiare da parte della politica: questa situazione lascia le persone e le comunità in balìa di fenomeni che invece dovranno essere gestiti in maniera strutturale in futuro, quando potranno diventare anche più frequenti.
Siamo stanchi delle passerelle politiche che, con indosso la giacca della Protezione Civile, ci raccontano che “l’Emilia Romagna è grande, risorgeremo e torneremo come prima” perché è proprio quel come “prima” che ha portato in questi ultimi giorni l’acqua nelle case di tanti nostri concittadini.
La retorica dell’amministrazione, che equipara l’evento alluvionale al terremoto in Emilia, è fuorviante. La città di Bologna e l’area del ravennate ad esempio sono state inserite tra le aree a rischio potenziale significativo (APSFR) nel quadro del secondo ciclo della Direttiva Alluvioni. La modellistica della cartografia elaborata dalla stessa regione permetteva infatti di conoscere l’estensione dell’allagamento per diversi scenari di alluvione, l’altezza che può raggiungere l’acqua fuoriuscita dagli alvei e la superficie marina rispetto al piano campagna.
L’alternarsi di fenomeni di precipitazione intensa e una condizione di siccità persistente in un territorio ampio è la prova che nella nostra regione il cambiamento climatico si fa sentire 365 giorni l’anno. Non si tratta più di calamità da affrontare singolarmente, ma di un quadro complesso per il quale occorre svolgere azioni di controllo e di prevenzione che garantiscano, oltre alla qualità della vita delle persone, anche la protezione degli ecosistemi che sono un tassello fondamentale per mitigare gli effetti di questi eventi estremi.
Per quanto riguarda l’azione della Regione Emilia-Romagna di fronte a un simile scenario, ribadiamo la nostra posizione: è necessario che le azioni dei singoli assessorati della Regione siano coerenti e convergano verso un obiettivo comune, quello della mitigazione e dell’adattamento al cambiamento climatico.
Continuiamo invece ad assistere a scelte illogiche, anacronistiche e contraddittorie, le cui conseguenze ricadranno su tutti, in senso globale e per lungo tempo. La stessa giunta che ha promosso il Patto per il Lavoro e il Clima, che prometteva una legge regionale per il clima, che ha promesso di coprire il 100% della domanda di energia con fonti rinnovabili al 2035, ha mantenuto in essere e difeso progetti ad alto impatto climalterante come le infrastrutture autostradali ( Passante di Bologna, autostrada Cispadana, Bretella Campogalliano-Sassuolo), ha dato pieno supporto al Rigassificatore di Ravenna, auspicando l’installazione di un secondo impianto, e non ha ancora trovato una soluzione definitiva al problema del consumo di suolo, che in questi ultimi anni si sta concretizzando nell’assalto dei nuovi poli della logistica ai terreni vergini della regione.
Sono passati 8 anni dall’Accordo di Parigi che fissava come obiettivo l’incremento massimo di 1.5°C delle temperature globali rispetto alle temperature preindustriali. Oggi l’IPCC avverte che ci sono 2 probabilità su 3 di superare questa soglia entro il 2027, con la quasi certezza che le prossime cinque estati saranno le più calde mai registrate nella storia dell’umanità. In questo contesto, ogni ettaro di terreno cementificato, ogni milione speso in opere ad impatto climatico negativo, ogni ritardo nella realizzazione degli impianti di fonti rinnovabili produce conseguenze sulla qualità della vita e la salute delle persone. Sempre la scienza ha individuato le soluzioni da adottare: ridurre le emissioni climalteranti da tutti i settori, a partire da quello energetico, e promuovere il processo di adattamento per far fronte al nuovo clima che è già cambiato. Tutto questo va fatto adesso, senza ritardi e senza contraddizioni.