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La scelta del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi è in alto male. Oltre il 90% delle scorie più pericolose sono confinate nel Vercellese, a Saluggia, e i rifiuti a bassa e media attività sono in crescita. Prevista, in uno stesso sito da individuare, la coesistenza tra le scorie che decadranno in trecento anni con il deposito “provvisorio” (dai 50 ai cento anni) di quelle ad alta attività. Nel convegno organizzato dalla Commissione scientifica per il decommissioning, il presidente dell’Ispettorato della Sicurezza Nucleare (Isin) ha riconfermato la scelta della Vas (Valutazione ambientale strategica) del sito, attraverso la partecipazione delle comunità territoriali delle aree idonee (Cnai). Chiesta dagli organizzatori la “reversibilità” del sito in caso di inadempienze come avviene in Francia. La Sogin, presente al convegno, non ha preso la parola per “disposizioni dall’alto”. Le associazioni ambientaliste hanno chiesto trasparenza delle scelte governative per superare un’inaccettabile reticenza

(Red) — A CHE PUNTO è la Vas, la Valutazione Ambientale Strategica, per il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi?  Su questo tema la “Commissione scientifica sul Decommissioning” ha convocato, in un Convegno nazionale tenuto a Roma il 21 aprile scorso, addetti ai lavori e stakeholder, in particolare comitati cittadini e associazioni ambientaliste. Gli unici soggetti, questi ultimi, che seguono con attenzione e interventi puntuali il programma di smantellamento degli impianti nucleari – il Decommissioning, appunto – che va avanti da più di vent’anni con ritardi inaccettabili per un Paese civile. Estemporanee le sortite politiche sull’importanza delle azioni da intraprendere per tutelare salute e sicurezza dei cittadini dal rischio radioattivo, amplificato dalla possibilità che il Deposito possa essere un obiettivo militare in caso di guerra. Un’importanza che viene rappresentata, quando ce se ne ricorda, come un’emergenza da affrontare prioritariamente, ma solo, purtroppo, a parole. 

In questo quadro sfilacciato la Vas, prevista per legge, è la procedura, ormai consolidata a livello internazionale, che contiene, almeno in linea di principio, le garanzie per il corretto coinvolgimento delle popolazioni e delle istituzioni interessate per arrivare ad una scelta del sito per il Deposito che sia il più possibile condivisa. Ma quale Vas, visto che ne è stata già fatta una relativamente al Programma Nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi, conclusasi con tanto di seminario nazionale nel dicembre 2021? Nel frattempo, con ritardi macroscopici da parte di tutti i governi che si sono succeduti dal recepimento della normativa europea di settore, la n.70 del 2011, la Sogin, la società pubblica cui spetta il compito di attuare il Decommissioning, è passata dalla Cnapi, la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, alla selezione di quelle idonee, producendo così la Cnai (Carta nazionale aree idonee). Sui criteri di selezione e su alcune scelte operate nel disporre la Cnai è intervenuto l’Ispettorato della Sicurezza Nucleare (Isin), richiedendo modifiche. È sulla Cnai, integrata dalle correzioni richieste, che si dovrà applicare una nuova Vas, che porterà alla definizione dei siti candidati a ospitare il Deposito nazionale delle scorie radioattive.

Questo percorso è stato ricordato, in modo sobrio ma puntuale, da Paolo Bartolomei nella relazione introduttiva svolta a nome della Commissione. Forte la sottolineatura sul fatto che l’inventario dei rifiuti di bassa e media attività è destinato a crescere in maniera molto significativa – centinaia di migliaia di metri cubi – a causa dell’inclusione nell’inventario di rifiuti provenienti dall’industria estrattiva e petrolchimica, dalle discariche di rottami metallici, tecnicamente noti come Norm e Tenorm, e dalle discariche illegali. Quantità inevitabilmente crescenti.

Nel corso dei lavori l’attesa per l’intervento del presidente dell’Isin si era intanto fatta incerta. Come altri partecipanti al convegno, era rimasto bloccato dall’incidente ferroviario del giorno precedente, che aveva spezzato in due l’Italia. E qualche bello spirito ha osservato: “Questo nucleare porta sfiga anche da morto”, rilevando anche il mancato saluto, per una febbre influenzale, di Enzo Naso, il direttore del Cirps, il Centro Interuniversitario che ha ospitato il convegno in alcune belle sale di Palazzo Brancaccio. Con un treno preso sul far dell’alba, il presidente dell’Isin Maurizio Pernice è finalmente arrivato da Milano e ha autorevolmente confermato l’attenzione scrupolosa dell’Ispettorato sull’operato della Sogin e su tutti i passaggi previsti per la Vas. Un percorso che esce finalmente dalle nebbie delle ipotesi e viene riaffermata come procedura irrinunciabile.

E di attenzione sulla Sogin ce ne vorrà, ha sottolineato Massimo Scalia, presidente della Commissione scientifica, perché, pur presente al convegno con quattro suoi esponenti, nessuno di loro ha potuto prendere la parola in osservanza di disposizioni impartite “dall’alto”: «Un brutto passo indietro, per una Società che ha il compito di rapportarsi direttamente e apertamente con le popolazioni interessate e con le loro rappresentanze politiche e istituzionali».

Significativa la presenza parlamentare, con Angelo Bonelli (Europa Verde) che ha rimarcato con forza l’inattendibilità della proposta del governo di rilancio del nucleare, quando a oltre trent’anni dalla chiusura ufficiale del nucleare – la delibera Cipe è del 1990 – ancora si brancola con clamorosi ritardi nel sistemare le scorie prodotte dalla modestissima esperienza italiana. Christian Di Sanzo (Pd, fisico eletto nella Circoscrizione estera) ha lasciato aperta una porta sulla ricerca nucleare, in particolare la fusione, condividendo però l’inattualità di un piano nucleare, fondato sui fallimenti della terza generazione “avanzata”, e la necessità di sistemare finalmente le scorie con una Vas ampiamente partecipata.   

Era stato sottolineato, in precedenza, che nello stesso sito è prevista la coesistenza del deposito definitivo dei rifiuti radioattivi di bassa e media intensità – la cui radioattività sarà decaduta al livello di quella naturale in circa trecento anni – e il deposito “provvisorio” per quelli di alta attività, dove provvisorio significa molte decadi, dai 50 ai cento anni. Il presidente Scalia ha esortato, al riguardo, un’iniziativa legislativa del Parlamento per la “reversibilità del sito”, come in Francia, lo Stato per eccellenza nucleare, dove la legge garantisce ai cittadini il diritto di revocare, fino a cent’anni dopo, la scelta del sito se si evidenzia che essa non rispetta le condizioni che avevano portato alla sua approvazione.

Dismesso, ma solo momentaneamente, il suo cappello di direttore di Italia Libera, Igor Staglianò ha condotto la sessione con gli stakeholder, ricordando che il “sito comunitario”, tanto sperato dai politici per togliersi di torno la patata bollente delle scorie radioattive ha la stessa realtà di personaggi come Superman, puramente immaginari. In ogni caso, uno dei motivi della procedura d’infrazione comminata dalla Ue all’Italia è proprio il fatto che non è stato indicato puntualmente, come richiesto, quello che sarà il destino dei rifiuti di alta attività, inclusa la mancanza di ogni eventuale accordo comunitario o bilaterale, sia pure di massima, per un loro confinamento in altro Paese.

Sergio Ulgiati, presidente del Comitato etico e scientifico di Europa Verde, ha denunciato l’inaccettabilità etica, ma anche tecnologica, di pensare di accollare ad altri Paesi le scorie prodotte dal nostro. Pippo Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, ha ricordato che le azioni di messa in sicurezza sono partite dopo l’alluvione del 2000, quando l’impianto di Saluggia è stato allagato e si è rischiata una catastrofe ecologica. Si individuò allora la Sogin come soggetto unico che gestisse sia gli impianti che il loro smantellamento e lo smaltimento dei rifiuti prodotti. Una scelta, sbagliata, all’origine del conflitto di funzioni che ha allungato a dismisura i tempi della messa in sicurezza dei rifiuti nucleari.

Gian Piero Godio (Comitato di vigilanzaPro Natura e Legambiente Vercelli) ha ripercorso la vicenda della cementazione dei rifiuti liquidi radioattivi di Saluggia – i serbatoi che contengono oltre il 90% dell’alta attività presente in Italia – e del “triangolo” piemontese (oltre a Saluggia, Trino Vercellese e Bosco Marengo) che è di fatto il deposito di quasi tutte le scorie nazionali. Andrea Minutolo, di Legambiente, ha evidenziato che gli ultimi due Governi hanno perso una grande occasione nel non aver proceduto alla localizzazione del deposito perché, grazie ad un’opera virtuosa di trasparenza e coinvolgimento svolta dalle associazioni ambientaliste, si era creata una situazione favorevole, forse irripetibile. Irripetibile senz’altro, se le prossime decisioni verranno prese di nascosto senza la necessaria trasparenza nelle informazioni, hanno rilevato Stefano Lenzi, per il Wwf, e Pasquale Stigliani, portavoce di Scanziamo le scorie, protagonista della ribellione “dei centomila” in Basilicata contro il “Decreto Berlusconi”, monumento infausto del voler imporre per decreto e con zero trasparenza una scelta così delicata. 

E sulla riservatezza, voluta sin qui dal ministero dell’Ambiente, rispetto alle informazioni attese dagli stakeholder si sono prospettate iniziative parlamentari per fare breccia in questo “muro del silenzio”. Alcuni interventi, un po’ pittoreschi, hanno messo in discussione le normative tecniche e i modelli che presiedono ai criteri di localizzazione, ma questi criteri sono il decennale esito internazionale di acquisizioni non solo scientifiche. Ed è stato bene ricordarlo, anche in memoria di Roberto Mezzanotte, uno dei massimi esperti in materia – e per questo componente autorevole della Commissione scientifica – esempio luminoso della capacità di ascolto e di traduzione in criteri tecnici delle esigenze espresse dalle popolazioni preoccupate degli effetti della radioattività.

Sul trascinarsi per lustri del problema del Deposito, sui rischi della radioattività per tempi lunghissimi e sugli altri connessi all’uso del nucleare come fonte energetica risuona ancora la riflessione del Premio Nobel Giorgio Parisi. Insediandosi alla presidenza della Commissione scientifica, che detenne dal 2014 al 2018, sul punto fu molto esplicito: l’uomo non ha ancora maturato la capacità di gestire in sicurezza l’energia nucleare©