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VERSO IL 5 NOVEMBRE. Un messaggio al governo (che nasce), alle forze politiche, al parlamento per invitarli a prendere un’iniziativa autonoma nella direzione della via diplomatica: l’invio delle armi è una scelta sbagliata che invece di avvicinare la pace, fa incancrenire la guerra. Le guerre hanno fallito in questi anni: in Afghanistan, in Libia, in Medio Oriente, in Kosovo. Non ci sono alternative. La nonviolenza è una politica diretta a disarmare il conflitto e a costruire le condizioni di una pace giusta

Da oggi cento città in piazza per la pace Manifestazione per la pace - LaPresse

Sarà una grande manifestazione per la pace, quella del 5 novembre a Roma. Una grande mobilitazione, lanciata da “Europe for Peace” contro l’aggressione di Putin all’Ucraina, per chiedere l’immediato cessate il fuoco e l’apertura di un negoziato su basi giuste.

La continuazione della guerra sulla pelle della popolazione ucraina è inaccettabile. È l’ora della tregua e della via diplomatica, della trattativa, cui devono concorrere le Nazioni Unite e altri paesi che possono avere un ruolo di mediazione e di facilitazione del dialogo.

PENSARE che si possa “vincere la guerra” è completamente illusorio: senza l’avvio di una soluzione diplomatica, il conflitto armato continuerà tra offensive e contro-offensive, tra avanzate e ritirate, tra vittorie e disfatte delle forze in campo. A pagarne il prezzo le popolazioni civili in Ucraina, ma anche i pacifisti e gli obiettori di coscienza russi che vengono perseguitati e incarcerati. Con in più il rischio della guerra nucleare sullo sfondo.

Di fronte a questo scenario c’è una sostanziale irresponsabilità della comunità internazionale, a partire dalla Nato che presta il fianco all’escalation della criminale aggressione di Putin all’Ucraina. E in Italia, il governo che sta nascendo non ha sicuramente le carte in regola: al di là delle

vacue e roboanti dichiarazioni di fedeltà atlantica, almeno due forze politiche su tre che ne faranno parte, hanno vissuto (e forse stanno ancora vivendo) anni pericolosi sotto l’ombra o a fianco di Putin. Una specie di Frankenstein governativo, un mostro informe assemblato in parte a Mosca e in parte a Washington: con all’orizzonte una politica estera più atlantista (cioè filo-americana) che europeista.

SI PARLA di tutto in questi giorni, tra via della Scrofa e Piazza Montecitorio, meno che della pace.

Ecco perché, dopo i tre giorni di mobilitazione a partire da oggi 21 fino al 23 ottobre (iniziative in oltre 100 città, tra cui la presenza a Piazza san Pietro con papa Francesco, all’Angelus, domenica prossima) l’appuntamento del 5 novembre può essere uno snodo decisivo della mobilitazione per la pace nel nostro paese.

Un messaggio al governo (che nasce), alle forze politiche, al parlamento per invitarli ad avere un sussulto, a prendere un’iniziativa autonoma nella direzione della via diplomatica: l’invio delle armi è una scelta sbagliata che invece di avvicinare la pace, fa incancrenire la guerra, in una prospettiva senza speranza.

La piattaforma della manifestazione del 5 novembre in questo senso è chiara e si apre con due richieste: cessate il fuoco e negoziato.

Si parlerà di prospettive di pace e non di strategia di guerra, di dialogo e trattativa e non di vittorie (e sconfitte) sul campo, di riconciliazione e non di «contrapposizione tra buoni e cattivi», ricorda anche papa Francesco.

LE GUERRE hanno fallito in questi anni: in Afghanistan, in Libia, in Medio Oriente, in Kosovo. La guerra non è uno “strumento” di politica estera, ma – come dice la Carta della Nazioni Unite – è un “flagello” da mettere al bando, da evitare alle future generazioni. L’Occidente invece di avere una politica della guerra – inseguendo Putin sul suo terreno criminale – deve avere una politica della pace capace di sminare il conflitto e di incanalarlo nella ricerca delle soluzioni possibili.

La politica della guerra è quella dell’escalation, mentre la politica della pace è quella de-escalation. Non ci sono alternative. La nonviolenza – ce lo ricordava Aldo Capitini- non è semplicemente un’aspirazione, un modo di essere, un valore. No. È una politica diretta a disarmare il conflitto e a costruire le condizioni di una pace giusta. I pacifisti ovviamente non sono neutrali: stanno con la popolazione ucraina, con gli obiettori di coscienza e i pacifisti russi.

NON SONO equidistanti, ma sono “equivicini” a tutti quelli che soffrono le conseguenze di questa guerra. Ci sono e ci saranno.

Ecco dunque dove stanno i pacifisti: nelle carovane di aiuti che vanno a Leopoli e a Kiev, nelle manifestazioni, nei presidi, negli incontri per la pace oggi in tutte le città italiane e a Roma il 5 novembre per chiedere che tacciano le armi e che si apra subito il negoziato. Per evitare conseguenze peggiori, l’allargamento della guerra e il rischio nucleare. È questo il momento di mobilitarci.

L’elenco dettagliato delle oltre 100 manifestazioni che iniziano oggi fino a domenica 23 si trova su www.sbilanciamoci.info/europe-for-peace/.