Dopo una lunga pausa, riprendiamo a ricomporre il quadro cittadino fatto di associazioni che operano per una società inclusiva di quella componente definita da Papa Francesco “lo scarto” secondo il pensiero dominante.
Lo facciamo incontrando Daniele Severi, referente per il territorio dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, una comunità sorta nel 1968 per opera di Don Oreste Benzi, prete di strada.
Severi tiene a sottolineare che l’Associazione è un ente ecclesiastico che si pone come mission di vivere il cristianesimo sul sociale per dare risposte agli ultimi. Nell’incontro con la realtà cerca di offrire famiglia a chi non l’ha. Famiglia: è questo il nucleo da cui s’irradia l’azione, perché - continua Severi - “nella famiglia ci si sente scelti e amati per relazione parentale e questo induce a una condivisione diretta”.
Sono sorte così, nel tempo, case famiglia che sono “vere famiglie”, con un papà e una mamma che con i loro figli ne accolgono altri che non hanno famiglia.
L’utenza è ampia, ma lo scopo induce a non realizzare strutture specificatamente per anziani o bambini (0-6 anni): la famiglia si allarga al disabile, al bambino e richiama un po’ la famiglia patriarcale.
A Faenza, la presenza della Papa Giovanni XXIII risale agli anni ’70 - a seguito di un campeggio con disabili promosso da Don Oreste Benzi - ma non si può dire che riproponga realtà già esistenti al suo interno, perché ogni zona è peculiare e l’Associazione imposta l’azione sulle esigenze dei poveri del territorio che incontra: “non preconfeziona progetti”.
Nel faentino sono presenti famiglie aperte - che fanno accoglienza limitata, tipo affido - una comunità terapeutica con una famiglia interna e case-famiglia, dove sono più forti la paternità e la maternità, infine un centro diurno per disabili ad Albereto.
Tutte le strutture sono in rete a livello nazionale: 28 case famiglia in Italia disponibili per minori affidati da servizi sociali o Tribunali.
L’onere finanziario per gli affidamenti e a carico dello Stato, imponendo ai Comuni di inserire nei rispettivi bilanci questo tipo di spese.
Oltre a dare accoglienza, la Papa Giovanni XXIII promuove la giustizia e la rimozione delle cause che producono ingiustizia con proposte di legge e interpellanze. L’Associazione è accreditata anche all’ONU. Al momento accoglie, in Italia, 300 detenuti in detenzione alternativa in due case “Madre del perdono”. Chi è condannato deve, anche secondo i principi della nostra Costituzione, essere recuperato alla società e questo richiede l’apertura di Centri Alternativi al carcere.
Questo fa sì che la Papa Giovanni XIII si offra come una risorsa per il territorio, come una comunità flessibile.
Trattandosi di un ente ecclesiastico, chiediamo quale sia il rapporto con la Chiesa di Roma, in particolare con il Vaticano. Ci viene detto che l’Associazione dà a Roma i propri registri con i bilanci, ma non riceve finanziamenti. A tutt’oggi il 51% degli assistiti non paga la retta. Come i primi cristiani, gli appartenenti alla Papa Giovanni XXIII mettono in comune le loro risorse economiche a livello nazionale, poi ogni casa- famiglia, in base ai bisogni, definisce quello che le serve.
Al momento l’Associazione accoglie in ambito nazionale 1.400 persone.
Rientrando nello specifico faentino cerchiamo di portare il discorso sulla realtà dei Rom.
Severi rileva come il rapporto sia complesso e come sia difficile realizzare
una vera integrazione. L’Associazione opera cercando di stare “vicino a un popolo”, senza la pretesa di cambiarlo, limitandosi a camminare con lui con l’obiettivo di mettere le persone nella condizione di avere i diritti minimi che diano loro dignità: lavoro e casa. A questo proposito citaun’esperienza riuscita, in Piemonte, con la realizzazione di cooperative di lavoro.
Non può mancare il richiamo all’accusa che molti sollevano nella nostra città alla Papa Giovanni XXIII: quella di svolgere nei confronti dei Rom un’azione di puro assistenzialismo che non li porta a una vera responsabilizzazione. Con serenità Severi riconosce questo limite nel passato e lo riconduce alla mancanza, nel territorio, di una programmazione unitaria. Oggi il tipo di accoglienza che offre l’Associazione è legato a progetti, ne è esempio l’esperienza con i 9 ragazzi profughi presenti da giugno 2013 ad Albereto. A incentivare questi percorsi è anche l’Unione Europea.
Ritornando al problema Rom, attualmente l’Associazione partecipa a un Tavolo di Lavoro con altre Associazioni faentine e insieme alla Fondazione Romanì che ha al suo attivo progetti realizzati con successo nell’area veronese. L’Amministrazione, infatti, intende avvalersi delle competenze, della consapevolezza e degli strumenti che Romanì ha accumulato nel tempo, per meglio coinvolgere la Scuola, il Comune stesso e le Associazioni nel realizzare un ampio progetto.
Su questa linea si sta muovendo anche la Regione, che varerà a breve un Nuovo Progetto su Rom e Sinti in Emilia Romagna.
Seguiremo gli sviluppi di questo impegno.