Perché, cosa, come e con chi realizzare un futuro di giustizia sociale e ambientale battendo chi lavora per tornare alla normalità iniqua del pre Covid-19 o per costruire un futuro autoritario
Siamo appena entrati in una fase di allentamento delle misure di distanziamento fisico con lo sguardo fisso alla curva dei contagi e all’andamento della diffusione dell’epidemia. Consapevoli della grande incertezza fatichiamo a programmare il futuro. Eppure è questo il momento in cui, se abbiamo coraggio individuale e collettivo, a quel futuro possiamo dare forma. Per farlo dobbiamo rischiare di fare previsioni, e dobbiamo compiere scelte.
Anche noi, ForumDD, alleanza tra ricerca e organizzazioni di cittadinanza attiva, abbiamo sentito questa opportunità. E in un’assemblea di oltre sessanta persone, cinquanta interventi e otto ore siamo partiti da una selva di domande e abbiamo cercato di condividere le risposte. Ora le abbiamo raccolte in un DOCUMENTO.
Anticipiamo alcuni punti che troverete e su cui vogliamo aprire un confronto.
L’analisi delle tendenze prodotte da Covid-19 ci suggerisce che nulla è scritto. Esistono, secondo il nostro sentire, tre scenari, tre progetti politici che possono compiersi.
Tutti si cimentano con le “disuguaglianze” – come evitarlo? – ma lo fanno con obiettivi radicalmente diversi.
Prima opzione, riprendere la strada correggendo le “imperfezioni”: l’obiettivo è tornare alla “normalità” pre-Covid-19 compensandone meglio le disuguaglianze, ma affidandosi agli stessi principi e dispositivi che le hanno prodotte, presentando la “digitalizzazione” come un processo univoco di progresso, promettendo “semplificazioni” e inibendo l’esercizio di discrezionalità da parte degli amministratori pubblici nell’assunzione delle decisioni, favorendo i rentier rispetto agli imprenditori, mortificando partecipazione strategica di lavoro e società civile, e scaricando su quest’ultima e sulla famiglia ogni ruolo di mediazione sociale.
Seconda opzione, accelerare la dinamica autoritaria in atto prima della crisi: l’ulteriore impoverimento, la rabbia e l’ansia per il domani vengono alleviate offrendo barriere che promettono una rassicurante “purezza identitaria”, nemici da sconfiggere (migranti, stranieri, diversi, esperti), uno Stato accentrato e accentratore pronto a prendere rapide decisioni e a sanzionare comportamenti devianti, senza la pretesa di un pubblico confronto.
Terza opzione, cambiare rotta verso un futuro di emancipazione sociale: gli equilibri di potere e i dispositivi che riproducono le disuguaglianze vengono modificati, orientando il cambiamento tecnologico digitale, offrendo uno spazio di confronto acceso e informato al mondo del lavoro, alla società civile e a ogni persona che vive sulla nostra terra, legando welfare e sviluppo economico e realizzando un salto di qualità delle amministrazioni pubbliche.
Affinché l’opzione della giustizia sociale e ambientale possa sfidare con successo le altre due opzioni, servono tre requisiti: una visione del futuro che parli ai sentimenti; proposte operative con obiettivi verificabili; una mobilitazione organizzata. Sono tre requisiti che proviamo a sperimentare nel lavoro che portiamo avanti anche in queste settimane e che discutiamo in profondità nel volume “Un futuro più giusto. Rabbia, conflitto e giustizia sociale”, che uscirà il 28 maggio per il Mulino.
Se non ora quando?
Bisogna partire già da queste settimane, e nel testo trovate sette azioni da fare. E poi occorre uscire dalla congiuntura, guardare lungo. Cinque sono gli obiettivi strategici su cui stiamo lavorando. Primo: dobbiamo accrescere l’accesso alla conoscenza, per rimettere in moto creatività, mobilità sociale e innovazione, e per farlo dobbiamo giocarci i presidi pubblici forti che abbiamo, quali università, scuola, imprese pubbliche, gestione pubblica delle risorse digitali. Secondo: dobbiamo rendere pagante la nuova domanda di servizi e beni fondamentali per dar vita a buoni lavori nella cura delle persone, nell’educazione, nella casa, nella cultura, nella mobilità, nella filiera agro-silvo-pastorale e alimentare, nell’energia, nel turismo, investendo tutte le aree marginalizzate con strategie partecipate, territorio per territorio. Terzo: dobbiamo attuare misure immediate per dare al lavoro dignità, tutela e partecipazione strategica. Quarto: dobbiamo aggredire la crisi generazionale, accrescendo il potere dei giovani, non solo sul fronte educativo, ma anche in termini di ricchezza su cui possano contare nel passaggio all’età adulta e di abbattimento degli ostacoli nell’accesso a ruoli chiave nei processi decisionali. Quinto: dobbiamo realizzare una “rivoluzione operativa” nelle pubbliche amministrazioni che colga l’entrata di cinquecentomila nuovi giovani come un momento di rinnovamento generazionale e di metodo.
Nulla è scritto. Gli shock mettono in moto processi che ampliano gli spazi del possibile che non sono più gli stessi del mondo di prima.
Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci dietro le carcasse del nostro odio, dei nostri pregiudizi, l’avidità, le nostre banche dati, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti e cieli fumosi. Oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero, pronti a immaginare un mondo diverso. E a lottare per averlo. (Arundhati Roy)