Tagli dichiarati e tagli occulti: l’Università colpita al cuore dalla legge di bilancio e dalla “riforma” che stabilizza solo il precariato. I ricercatori si mobilitano: in 10 anni già 15mila hanno dovuto lasciare l’Italia. Anche gli enti locali fanno i conti: servizi sociali a rischio
Delitto di studio Mobilitazione nazionale alla Sapienza: «I tagli di Bernini colpo letale per gli atenei». Da quando si è insediata, la ministra non ha mai incontrato i ricercatori. E tace sulla protesta
Firenze, corteo degli studenti – Carlo Ferraro /Ansa
«Si tratta di una cassetta degli attrezzi a disposizione delle università». Così la ministra dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, aveva presentato a giugno scorso la bozza di riforma del pre ruolo negli atenei. «Ma dalla cassetta degli attrezzi ha tirato fuori solo le forbici», rispondono ricercatori, dottorandi e assegnisti di ricerca che ieri si sono riuniti a Roma nell’assemblea nazionale di Novantapercento, coordimento che racchiude gruppi come Adi (Associazione dottorandi e dottori di ricerca), Link, Arted, Primavera degli studenti, Flc Cgil e Uds. Altre assemblee si sono tenute nelle scorse settimane a Padova, Torino, Milano e alla Normale di Pisa contro la «precarizzazione istituzionalizzata» del comparto università e ricerca.
«LA RIFORMA BERNINI non fa che peggiorare la situazione di chi lavora nell’università con contratti precari, reintroducendo assegni di ricerca con meno diritti, nessuna previdenza e stipendi potenzialmente più bassi. È stato eliminato il tetto massimo di anni con il rischio di una precarietà senza fine», spiegano i ricercatori che affollano la sala del dipartimento di Biochimica: 500 lavoratori degli atenei di tutta Italia hanno lanciato la mobilitazione al termine di un percorso durato 4 mesi. «Il ddl 1420 è l’ennesimo attacco ai diritti e alla dignità di chi fa ricerca in Italia. Il 90% di chi dedica la propria vita a generare innovazione e cultura viene sistematicamente espulso dall’accademia, lasciato senza tutele e senza prospettive – spiegano -. Il “variegato al precariato” è la realtà amara che ci viene servita ogni giorno da chi vuole un futuro basato sullo sfruttamento». «Se non si agisce ora – ragionano – l’unica cosa variegata sarà il sapore dell’espulsione per tutti».
LO SA BENE LUDOVICA, archeologa con un assegno di ricerca che scade a febbraio: «Non ho idea di cosa succederà dopo ma già ora se chiedo un mutuo la banca me lo rifiuta perché non è una forma contrattuale riconosciuta». Lo sottolinea, spiega, perché è diffusa la convinzione che lavorare all’Università sia un privilegio mentre in realtà è «sfruttamento e lavoro povero».
La spesa universitaria è un investimento. Investire sui giovani dovrebbe essere una politica fondamentaleGiovanna Iannantuoni (presidente Crui)
Nicola è assegnista dell’Orientale di Napoli e fa parte di Restrike, una rete nata per tutelare i precari dal rischio di espulsione dal sistema universitario. «Il governo usa la retorica del talento e della perenne formazione perché non ci pensa come dei lavoratori – attacca -. Non c’è nessun prestigio in questo mestiere. Noi vogliamo essere riconosciuti come lavoratori, essere stabilizzati». Gli fa eco Giuseppe, dottorando in Scienze Politiche a Firenze: «Moltissime università italiane si sostengono sul lavoro gratuito dei dottorandi, è importante che gli italiani percepiscano che il precariato dei ricercatori rappresenta la morte del diritto di studio e dell’università di massa». Mentre Rossana al microfono denuncia «l’approccio padronale della riforma». «Tranne per le figure che insisteranno sulle spese del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), tutto verrà assegnato extra concorso per nomina diretta del rettore, in pratica viene reistituzionalizzato il baronato».
È VERO CHE LA MANOVRA disegnata dal governo di destra ha tagliato in tutti i settori ma i lavoratori della conoscenza insistono anche sul dirottamento delle risorse, già esigue, nel comparto militarizzazione e sicurezza. «Basta chiamarci giovani – dice Federico – siamo gente che vorrebbe farsi una famiglia o ha avuto l’incauta idea di farsela, 15 mila ricercatori negli ultimi 10 anni hanno lasciato l’Italia: la fuga dei cervelli fa parte di un disegno politico, è grave e destabilizzante per il sistema, lo priva di persone dinamiche e capaci». L’assemblea si scioglie con l’appello alla partecipazione allo sciopero del 31 ottobre, indetto dalla Flc Cgil, alla mobilitazione del Cnr (5 novembre) e alla manifestazione studentesca del 15. «Chiediamo alle forze politiche di incontrarci – commenta il vicesegretario dell’Adi, Davide Clementi – e di invertire subito la rotta, ritirando i tagli alla ricerca e al Cnr. In due anni – prosegue – Bernini non ha mai ricevuto le persone che svolgono quotidianamente il lavoro sul campo e che mandano avanti la ricerca».
IERI ANCHE LA PRESIDENTE della Conferenza dei Rettori (Crui), Giovanna Iannantuoni, nel ribadire di essere disponibili al dialogo con l’esecutivo, ha precisato: «Per crescere tutti sappiamo che dobbiamo lavorare sul capitale umano e l’innovazione, quindi la spesa universitaria non è una spesa ma un investimento: quello che dobbiamo fare è investire nei giovani, che non è retorica ma consiste nell’individuare in questo una politica fondamentale per il nostro governo»