RIFORME. In audizione il professor Frosini svela i progetti della destra sulla legge elettorale. E quelli per preservarla dal rischio incostituzionalità
Protesta dei senatori dell’opposizione durante le votazioni sull’elezione diretta del premier foto LaPresse
La ministra per le riforme Maria Elisabetta Casellati difficilmente si fa beccare in castagna. È sempre stata presente in Senato alle sedute della Commissione e dell’Aula sul premierato, senza mai farsi sostituire da un sottosegretario, e altrettanto sta facendo in Commissione Affari costituzionali della Camera, dove sta assistendo a tutte le audizioni, pur non essendo tenuta a farlo. A mettere in difficoltà lei, il governo e la maggioranza è stata l’eccessiva solerzia di uno dei costituzionalisti “amici” chiamato a difendere il testo. Il professor Tommaso Edoardo Frosini, docente di diritto pubblico comparato presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, martedì scorso in audizione ha svelato non solo la legge elettorale a cui la ministra sta lavorando, ma anche il piano per aggirare la quasi certa censura di incostituzionalità da parte della Consulta.
SULLA LEGGE ELETTORALE da accoppiare al premierato elettivo, Casellati aveva fatto capire nelle scorse settimane la direzione a cui stava lavorando, quella di una formula a turno unico, e infatti aveva citato «un sistema tipo Mattarellum o tipo Provincellum»: collegi uninominali a turno unico, così da evitare il ballottaggio inviso alla Lega. Frosini, che è tra i “consiglieri del principe” in materia ha esplicitato il tutto: ha «suggerito» – benché l’audizione non vertesse su questo – il Mattarellum usato per il Senato, vale a dire «il 75% dei seggi in collegi uninominali con recupero dei migliori perdenti» (in realtà la formula è più articolata e presenta diverse criticità).
«Il restante 25% – ha proseguito – che il Mattarellum prevedeva di distribuire in via proporzionale, può essere assegnato come quota di premio per la maggioranza. Ma una quota mobile, non fissa, fino al 25%». Quindi «se la maggioranza è autosufficiente con i collegi uninominali, cioè, giunga al 55% da sola, quel 25% andrà distribuito proporzionalmente ai migliori perdenti. Di quel 25% – ha spiegato – ne può servire il 10% per raggiungere il 55%, il che vuol dire che il restante 15% potrà essere distribuito proporzionalmente». E poi l’autoelogio: «Mi sembra una previsione di legge elettorale abbastanza equanime» ha chiosato. Quanta magnanimità! Vae victis, come disse Brenno.
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Non importa, come ha osservato il giorno dopo in audizione Peppino Calderisi, che si sommerebbero due meccanismi maggioritari (il collegio uninominale e il premio di maggioranza). E non importa che un altro giurista sostenitore del testo, chiamato in audizione dalla maggioranza, il professor Luca Longhi (docente di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università telematica Pegaso), abbia detto che l’elezione diretta richiede il ballottaggio. «Il ballottaggio non è dirimente – ha detto Frosini – si può eleggere come avviene per i presidenti di Regione anche a turno unico».
E LE SENTENZE della Corte costituzionale contro il Porcellum (la numero 1 del 2014) e contro l’Italicum (la numero 35 del 2017)? E qui nella foga laudatoria il professore si è lasciato scappare ciò che non doveva: «C’è l’obiezione che più volte viene evocata, francamente in maniera un po’ stantia, che ci sono le sentenze della Corte, ma che vuol dire? Primo: la Corte nel nostro sistema non ha l’obbligo del precedente, la Corte può cambiare la propria giurisprudenza, ci mancherebbe».
Per carità, ci mancherebbe! E poi la rivelazione del piano B della maggioranza: «Secondo, il collegio che giudicherà, ammesso e non concesso che arrivi alla Corte, sarà completamente diverso da quello che si è già pronunciato». Immediato sobbalzo dei parlamentari dell’opposizione. Il piano B è, trumpianamente, cambiare il collegio della Corte plasmandolo a propria immagine e somiglianza.
ECCO ALLORA SPIEGATA la resistenza della maggioranza a nominare il giudice costituzionale in sostituzione di Silvana Sciarra. Si è scritto e riscritto che le destre attendono che concludano a fine dicembre il loro mandato anche altri tre giudici (il presidente Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti) di elezione parlamentare, così da puntare a una elezione a “pacchetto”: un giudice alle opposizioni (magari di M5s in passato incline ad accordi su Csm e Rai) e tre a se stessa per altrettanti giuristi di area pronti a ribaltare la giurisprudenza precedente in materia di legge elettorale. E magari tra essi ci potrebbe essere lo stesso Frosini